XII Domenica del Tempo ordinario (C)


ANNO C - 20 giugno 2010
XII Domenica del Tempo ordinario

Zc 12,10-11;13,1
Gal 3,26-29
Lc 9,18-24

SEGUIRE GESÙ IMPLICA
LA VIA DELLA CROCE

Chi è Gesù di Nazareth? Non possiamo considerare tale domanda solo una questione intraecclesiale. La storia del pensiero occidentale è anche storia di un serrato confronto tra la riflessione filosofica e il Cristo. Le risposte offerte a questo interrogativo sono ben più variegate delle poche riassunte dai discepoli in risposta alla provocazione del Maestro. In fondo, questa domanda è una sorta di crocevia, irrinunciabile per ogni coscienza, credente e non credente. Se certamente Gesù non legò la propria missione al riconoscimento pieno della sua persona, tuttavia doveva avere a cuore che la sua azione non fosse fraintesa generando aspettative e movimenti rivoluzionari quanto mai fuori luogo. L'intera azione della Chiesa nasce oggi dalla comprensione che abbiamo della persona di Gesù. L'accentuazione fuorviante di un aspetto piuttosto che un altro ha prodotto, produce e sempre produrrà confusione e inganno. Dall' essere di Cristo promanava l'agire dei suoi discepoli e delle folle che lo seguivano, ieri come oggi. Per questo, era importante capire che cosa le folle avessero colto della sua persona.
Le risposte afferravano aspetti reali della sua missione (v. 19). Gesù, come Giovanni Battista, conduceva una vita austera ma soprattutto parlava con coraggio contro le autorità politiche e religiose. Come Elia, la sua presenza segnalava una svolta nei tempi, una imminente manifestazione di YHWH. Come accadeva di ogni profeta, la sua parola rendeva presente la Parola stessa di Dio. I cieli si erano squqrciati e la Parola aveva ripreso a fluire in terra d'Israele. E comunque prevedibile che le masse non riescano a cogliere da frequentazioni sporadiche e comunque lontane l'essenza vera di una persona. Essa viene a coincidere con l'immagine che ci si fa di lei, infarcita magari di luoghi comuni o inesattezze mai verificate. Nessuno di noi pretende di essere dawero compreso da chi non condivide con noi la vita di tutti i giorni. Allo stesso tempo, verifica del quotidiano è proprio la percezione integrale di coloro con cui viviamo. Se non loro, chi potrebbe dawero capire chi siamo? La risposta di Pietro è tanto breve quanto perentoria: "Il Cristo di Dio" (v. 20). Il tempo dell'attesa è finito e YHWH ha mantenuto l'antica promessa rivolta a Davide, promessa che generò e sostenne secoli di messianismo. Possiamo immaginare il suo orgoglio non tanto per un successo personale, ma quanto per aver posto il Maestro nella giusta luce davanti a tutto il gruppo. Pietro non aveva cercato una facile gloria. Aveva espresso a nome di tutti quanto forse anche altri pensavano sen-
za il coraggio di esprimere qualcosa di così grande per la fede ebraica. Non è difficile allora immaginare lo sconcerto sopraggiunto allorché Gesù impose il silenzio assoluto sulla propria persona, espresso da Luca con un verbo presente anche nei racconti di esorcismo (v. 21). Si trattò di un raffreddamento sconvolgente, quasi si volesse contenere una deflagrazione che avrebbe potuto contagiare tutto il popolo a iniziare dalle folle che non cessavano di interrogarsi sull'identità di Gesù.
Il silenzio imposto da Gesù ci riconduce alla preghiera che apre il brano (v. 18), dettaglio frequente in Luca, ma proprio di lui solo. Lo stesso awenne nel battesimo (3,21) e awerrà nella trasfigurazione (9,28). Dalla e nella preghiera awengono gli snodi fondamentali della vita del Cristo. Qui è da cogliere la sua identità profonda e la parzialità della risposta offerta da Pietro. Il Dio fedele alle promesse ha mandato il proprio Unto a restaurare la dinastia davidica, ma i destinatari della promessa non possono prevedere né tanto meno decidere come ciò si compirà. Tutto si compirà in modo pasquale. Questo Pietro non lo può ancora comprendere. Manca tutto il cammino verso Gerusalemme e l'esperienza del Golgota. Per questo Gesù impone il silenzio. Cristo è anzitutto rivolto al Padre. Egli è il Figlio amato che vive in totale comunione con il Padre. Solo entrando in questa comunione, sarà possibile ai discepoli comprendere il mistero del Figlio di Dio. L'equivoco, condotto fin sotto la croce, nascerà precisamente dal considerare il Messia come diritto e possesso per Israele e, in base a quello, valutare guadagni o perdite.
L'invito al silenzio è !'invito a maturare diversamente e intimamente la propria adesione al suo mistero personale. Tutto si rovescia: guadagnare può rivelarsi una perdita. La perdita può manifestarsi come guadagno supremo: salvarsi è perdersi; perdersi per Cristo è salvarsi (v. 24). Il rinnegamento di sé inizia per i Dodici esattamente dal silenzio, ascesi indispensabile che consente una reale sintonia con le vie di Dio, sempre sorprendenti e spiazzanti. Il silenzio diviene grembo della preghiera che sola ci restituisce a Dio prima che alle nostre rappresentazioni di Lui. Proprio a ridosso della confessione petrina, non a caso, risuona il verbo del rinnegamento. Esiste un'alternativa fondamentale e irrinunciabile: non è possibile confessare Cristo senza rinnegare se stessi. Anche il rinnegamento di sé altro non è che una ulteriore forma del silenzio che rinuncia a dire ciò che sono e che desidero in nome dell'altro. Seguire il Cristo, confessato a parole, implica la silenziosa testimonianza della croce, via alla risurrezione. Il cammino di Pietro, come il nostro cammino, prosegue perennemente scandito da questo bivio illuminato dalla parola di Gesù e dalla luce della sua preghiera.


VITA PASTORALE N. 5/2010 (commento di Claudio Arletti, parroco di Maranello)



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