SS. Corpo e Sangue di Cristo
Gen 14,18-20
1Cor 11,23-26
Lc 9,11b-17
L'AMORE SI FA PANE
PER LA NOSTRA FAME
L'esordio del vangelo non descrive nel dettaglio la predicazione intorno al regno di Dio con cui Gesù accolse le folle giunte sui suoi passi. Non sappiamo che cosa Gesù disse. Ma ci viene narrato che cosa Gesù fece. Certo, si parla della guarigione di alcuni malati, ma non sarebbe una traduzione sufficiente del mistero del Regno. Occorreva un segno per tutta la gente, che traducesse universalmente in atto l'annuncio offerto. Possiamo intendere proprio così il segno della divisione dei pani: una formidabile attualizzazione del Regno, sua visibilità, sua tangibile concretezza. Leggeremo dunque questo miracolo compiuto da Cristo cercandovi le caratteristiche più aderenti alla "buona novella" del Re celeste che si fa prossimo all'uomo, novella fatta "pane" in questa solennità del Corpus Domini.
Il v. 12 ci offre il primo sintetico spaccato della realtà espressa con le parole "regno di Dio". I Dodici invitano Gesù a rompere l'intimità creata con la folla, visto il declinare del giorno. Ci troviamo all'opposto di quanto diranno i due allo sconosciuto forestiero che li ha accompagnati fino a Emmaus. Lo scendere della sera in quel contesto post-pasquale sarà precisamente la ragione del pasto rivelatore consumato insieme, in cui il Cristo si mostrerà pienamente ai loro occhi. Qui invece la situazione pare giunta al suo esaurimento con l'esaurirsi della luce. Le folle devono poter trovare cibo e bevanda. Pertanto l'assemblea raccoltasi attorno a Gesù deve essere sciolta. L'invito provocatorio che il Signore muove ai Dodici va dunque inteso non solo come un invito a nutrire, ma come invito a trattenere le folle in quel luogo nella compagnia del Signore. Questo primo affacciarsi del Regno lascia intravvedere la possibilità di stare ancora con Gesù e di vivere alla sua presenza nutriti dai suoi ministri. Non si tratta più di una frequentazione parziale, quasi a orari, come quella che contraddistingue tante nostre relazioni, ma del sogno di una comunione che non si spezzi e che sia vita della vita. L'eucaristia, lungi dall'essere nutrimento individuale, è per noi il sacramento dell'unità, unità costruita dal nostro essere radunati attorno a Colui che desidera offrirci la vita eterna.
Questo compito è per noi umanamente impossibile. L'ingiunzione di Gesù ai Dodici vuole provocare anche la consapevolezza dell'insufficienza di ogni risorsa umana. Nel racconto lucano essi, oltre a presentare il loro quasi nulla, formulano l'ipotesi di andare e comprare. Ma proprio qui emerge cosa sia il regno di Dio. Esso è grazia, non commerciabile, non acquistabile, ma capace di provvedere là dove ogni risorsa umana è praticamente esaurita. Siamo tuttavia molto lontani da un falso provvidenzialismo che ci lasci fermi ad attendere dal cielo il dono del Padre. Il brano evangelico pone in chiaro risalto l'azione necessaria dei Dodici. Tocca a loro dividere la grande folla in gruppi il cui numero forse ricorda le prime assemblee eucaristiche radunatesi nelle case dei più abbienti. I cinquemila divisi in gruppi di cinquanta rende forse meglio di tante nostre descrizioni teoriche cosa sia una comunità fatta di comunità. Senza disperdere la ricchezza di relazioni particolari con alcuni - necessarie e buone - nessuno può considerarsi il tutto della comunità dimenticando i tanti fratelli assieme ai quali condivide la compagnia del Maestro e lo stesso pane eucaristico.
La mediazione dei Dodici continua anche dopo la preghiera e la frazione dei pani. In fondo, possiamo dire in questo anno sacerdotale, proprio i Dodici sono i cinque pani e i due pesci. Il cibo che hanno non è nulla di fronte ai bisogni della gente. Loro stessi - noi stessi dunque non sono nulla davanti al grande numero che li sovrasta. Tuttavia il Pane, come i pesci, basteranno. È la logica del Regno. Non si tratta - dicevamo - di attendere a braccia conserte che il Padre provveda a tutto. Il Regno non è solo la vicinanza del Sovrano a tutti i poveri, vicinanza che raduna e che nutre. Il Regno nutre e valorizza anche la nostra libertà. Ci permette quasi di sentirci protagonisti e artefici del bene che Dio compie per mano nostra. Questa è vera grazia: non semplicemente quella che ti raggiunge, ma quella che ti ritrovi fra le mani da poter distribuire quasi fosse tua, sentendotene pienamente responsabile.
La grazia del ministero sacerdotale è anche questa. Abbiamo sperimentato la gioia di ricevere in modo immeritato. Abbiamo anche la grazia di dare in modo altrettanto immeritato ciò che non proviene da noi. Possiamo essere le mani di Dio. Nell'ottica del Regno l'uomo non è mai solo mendicante. Gli viene concesso di sperimentare quanto sia divina la possibilità di donare rendendo felice il destinatario del dono, senza essere semplice spettatore dell'azione del Padre. Gesù quasi scompare attraverso l'opera dei Dodici. Il vangelo di Luca, come anche gli altri sinottici, non descrive, a differenza di Giovanni, la reazione di stupore delle folle. Tutti furono perfettamente consapevoli di quanto accadde veramente o non sembrò che fosse proprio l'abilità degli apostoli ad aver provveduto alle necessità di tutti? La grazia discreta del Regno accetta anche di essere dimenticata. Così è l'amore paterno di Dio. L'eucaristia, primizia del Regno e pegno del suo compimento, è il pane ancora oggi posto fra le nostre mani dalla discrezione amorosa di Dio. Nessuno, davanti al sacramento del Corpo e Sangue di Cristo, potrà ridurre il cristianesimo a una serie di parole e teorie. L'esperienza a cui siamo chiamati è l'amore che si fa pane per la nostra fame.
VITA PASTORALE N. 5/2010 (commento di Claudio Arletti,
presbitero della arcidiocesi di Modena-Nonantola)
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