Ascensione del Signore
At 1,1-11
Eb 9,24-28;10,19-23
Lc 24,46-53
RITORNATO AL PADRE
GESÙ SI FA PIÙ VICINO
L'anno C consente di porre a confronto le due versioni lucane del medesimo evento. Il terzo vangelo termina descrivendo l'ascensione di Gesù al cielo, racconto replicato dal principio degli Atti degli Apostoli. È evidente qui come l'interesse storico dell'evangelista sia sottomesso a un criterio teologico. Il racconto che chiude il vangelo ha un tono estremamente positivo, senza ambiguità: Gesù sale al cielo benedicendo i suoi, prostrati in un atto di piena adorazione. Se il primo libro lucano si era aperto con una benedizione mancata, quella di Zaccaria, proprio nel Tempio di Gerusalemme, il primo gruppo benedetto dall'eterno Sacerdote torna nel Tempio stesso con grande gioia rispondendo con la propria lode e preghiera alla celeste benedizione del Cristo. Fra cielo e terra vi è piena corrispondenza. Si chiude un cerchio, senza per questo smorzare l'attesa dell'ultimo compimento: l'effusione dello Spirito.
Ben diverso è il tenore del passo che apre la seconda parte del dittico lucano. L'inopportuna domanda dei discepoli sulla restaurazione del Regno, la fatica a staccare gli occhi dal Risorto che sale al cielo, sottolineata anche dal rimbrotto degli angeli, mostrano un quadro diverso, quello di una comunità concentrata sull'immediato presente, impaurita dall'assenza del Maestro, incapace di guardare davvero avanti. Da qui comprendiamo quale sarà l'opera trasformante dello Spirito su un gruppo zoppicante e incerto. L'Ascensione introduce quindi una svolta decisiva e irreversibile nel rapporto con Cristo. Questo è di ogni generazione cristiana, non solo della prima. Se veramente non si è arrivati a stabilire un rapporto vitale con il mistero dell'Ascensione del Signore è difficile che il nostro rapporto con la globalità del Mistero sia rischiarato dalla giusta luce. Alcune precisazioni intorno alla prima lettura, con l'ausilio di altri riferimenti evangelici, possono aiutarci a focalizzare bene tale Mistero.
Nel quarto vangelo a più riprese il Maestro insiste sul fatto che l'atto fondamentale di credere è credere che egli è uscito dal Padre. Benché ciascuno di noi sia analogamente uscito dal Padre - diversamente non avrebbe vita e coscienza - questo fatto è vero di Cristo in modo unico. Egli è venuto dal Padre in un modo tutto personale, assolutamente diverso da quello di ogni altra creatura. Egli, infatti, è della stessa sostanza del Padre. L'ascensione nel modo più immediato e diretto è il ritorno di Gesù al Padre in questo senso tutto particolare e fortissimo per cui la sua umanità e tutta la sua realtà globale ritornano al Padre. Alla coppia di verbi "venuto \ ritornato" si affianca tuttavia nella Scrittura un'altra coppia di concetti: "cielo \ terra", coppia che può ostacolare la nostra comprensione del mistero che celebriamo. Giova qui tradurre in modo stringente la finale del v. 2 del passo di Atti, dove non si dice che egli fu "assunto in cielo", ma semplicemente che fu "assunto".
Infatti, la meta del suo ultimo viaggio non è il cielo ma, come abbiamo già accennato, il Padre. Il cielo di cui si parla al v. 11 non è certamente, come si intuisce, il cielo fisico. Questo cielo è esclusivamente Dio stesso. Gesù fu assunto in Dio. Uscito dal Padre, tornò nel Padre. Così al v. 9 della prima lettura non leggiamo nell'originale greco che "fu elevato in alto", ma semplicemente che "fu elevato". Il verbo è in forma assoluta: la coppia "cielo \ terra" qui equivale alla coppia "Dio \ tutto il resto". Dunque, come conferma anche Paolo in Ef 1,20-21, Cristo si è seduto alla destra del Padre al di sopra di ogni principato, potestà e dominazione. C'è Dio, dunque, e c'è l'uomo e ci sono altri ordini di esseri celesti al di sopra dell'uomo. Ma al di sopra di tutti questi ordini di esseri - un al di sopra che non è mai spaziale - c'è Dio. Cristo Gesù è assunto direttamente in Dio. Se cancelliamo le immagini spaziali, possiamo portarci dentro, prima di tutto, al nostro essere. Dentro al nostro essere ci siamo noi, ma c'è anche Dio con tutta la sua potenza di creazione. Non compiamo nessun itinerario esterno. Solo quando abbiamo trasceso l'ordine umano e quello degli esseri invisibili troviamo Cristo, in Dio. Questo è il cielo.
Ridefiniamo allora la lontananza creata dall'Ascensione di Gesù. Egli, infatti, nel testo matteano, afferma: «lo sono con voi, tutti i giorni, sino alla fine del mondo». L'effetto del suo ritorno al Padre è che Cristo si fa intimo a ciascuno di noi. Ritornato al Padre, raggiunge in noi lo spessore più profondo del nostro essere, quello in cui noi siamo in Lui e in Dio. Ciò vale per tutta la creazione. Il Risorto, nell'ascensione diviene il Cristo cosmico. Egli invade tutto il mondo e trabocca al di sopra di ogni ordine perché è in Dio e perché è Dio. Gesù ci sembra sempre lontano e assente. Non lo vediamo, né tocchiamo. Se anche potessimo farlo, egli comunque sarebbe fuori di noi e dunque rimarremmo nella nostra solitudine. Così accade con gli altri: li vediamo e tocchiamo, ma restano impenetrabilmente al nostro esterno e ciascuno va avanti nel proprio isolamento. Cristo non sta invece sulle nuvole. Cristo è la meraviglia dell'uomo trasformato in Lui. Grazie all'Ascensione, egli è diventato nostro una volta per tutte, per sempre perché noi siamo divenuti suoi e non possiamo più capire davvero noi stessi e il creato se non lo pensiamo assunto in Lui che ora siede alla destra del Padre. Questa sola può essere la nostra vera intelligenza spirituale.
VITA PASTORALE N. 4/2010 (commento di Claudio Arletti,
presbitero della arcidiocesi di Modena-Nonantola)