III Domenica di Pasqua (C)


ANNO C - 18 aprile 2010
III Domenica di Pasqua

At 5,27b-32.40b-41
Ap 5,11-14
Gv 21,1-19

IL RISORTO PROSPETTA
A PIETRO UN AVVENIRE

È potente il fascino di questa terza e ultima manifestazione del Risorto. Tutto è carico di suggestione ed evocazione: pensiamo al lago di Tiberiade, già luogo di una fame saziata al cap. 6. Pensiamo alla figura di Pietro, affiancata in modo discreto ma decisivo da quella, così diversa, del discepolo amato. Pensiamo al capovolgimento che conduce un gruppo di pescatori falliti a ritrovarsi la rete piena di pesci. Novità e ricordo si fondono, così come intuizione e generosità, parola e silenzio. Tutto nel crogiolo di una pagina pasquale. I protagonisti sono sette persone. Cinque sono note. Assieme a Pietro e ai due figli di Zebedeo abbiamo i due increduli che aprono e chiudono il quarto vangelo: Natanaele e Tommaso. Ci sono due volti anonimi. Come già nella pagina di Emmaus, per il compagno di Cleopa, ogni volto sconosciuto è il nostro, il volto del lettore. È un invito a entrare in questa stupefacente manifestazione del Risorto, prendendovi parte attiva.

Egli giunge, all'alba, con la luce. Le tenebre, contesto favorevole alla pesca, si rivelano un momento infelice che consegna al gruppo solo delle reti vuote. Nell'istante della frustrazione e dell'insuccesso, quando le risorse umane e la perizia di un gruppo hanno fallito, giunge Gesù di Nazaret. Egli stesso è luce in quella notte, anzitutto con la sua parola di consolazione. I discepoli non possono riconoscerlo perché riconoscere il Risorto è grazia e non merito. Ma possono accogliere con fede il suo invito paradossale: nessun pescatore pescherebbe con la piena luce del giorno. Eppure il misterioso uomo che tocca sul vivo le loro reti vuote - «Figlioli, non avete nulla da mangiare?» (v. 5) - suggerisce loro una soluzione praticamente identica a quella appena praticata. Cambia solo il lato da cui gettare le reti. O meglio, cambia la radice e la sorgente della propria azione: qui sarà semplicemente una parola obbedita con assoluta radicalità. È la risposta di fede dei sette alla forza di una provocazione capace di sgombrare il campo da ogni equivoco. Solo uno sa riempire le reti. Quell'uno è il Signore.
Così proprio grazie all'abbondantissima pesca e a una nuova incapacità di raccogliere, questa volta per eccesso, il discepolo amato riconosce il Maestro. Sono gli occhi del cuore, finalmente aperti dalla visita del Risorto e dalla sua inconfondibile grazia. Pietro risponde all'intuizione fine con la generosità del gesto. Si butta in mare, vestito. Solitamente accadeva esattamente l'opposto. Eppure la sua nudità, come il proseguo del brano, spinge a riconsiderare un passato tanto recente quanto amaro, fatto di rinnegamento. Di una nuova comunione è profezia il suo abito, con cui sarà davanti a Cristo per la triplice domanda. Pietro giunge per primo mentre gli altri trascinano le reti. Ma, sulla spiaggia, il banchetto è già pronto. Gesù non ha bisogno della nostra fatica o del nostro apostolico sudore. È per grazia che siamo servi inutili di cui egli vuole avere necessità affinché possiamo conoscere la forza della sua Parola. Non siamo indispensabili alla causa del Regno. È il Regno a esserci indispensabile. Questo è il passaggio decisivo della fede che porta a spezzarsi anche le braccia, ma senza fissarsi su scopi e progetti propri e senza maturare un inutile orgoglio. Abbiamo molto da apprendere da questa pagina. Ma solo guardare con coraggio le nostre reti vuote, senza continuare a dire che sono piene, può metterci di fronte all'azione del Risorto. Noi ancora siamo convinti di fare quasi tutto da soli. Lo Spirito ci offre una sorta di supporto esterno, quando non arriviamo a fare tutto. Qui la situazione è rovesciata. Sono i sette a costituire un supporto esterno a un profumato banchetto che già li attende a riva. Per grazia, l'uomo spogliato da tradimento e rivestito dalla grazia, potrà portare a riva quella rete che gli altri non riuscivano a sollevare. Il ministero di Pietro, come ogni altro nella Chiesa, dovrà servire all'unità. Senza unità non c'è missione nella Chiesa.

Il v. 12 ci riferisce dell'unico esito possibile a un incontro così intenso e stupefacente. La fede, generata dalla Parola obbedita, sprofonda nel silenzio della contemplazione. Il gruppo è riunito attorno a Cristo, senza che più alcuna parola sia necessaria. Tutti sanno chi è l'anfitrione che ha imbandito la mensa. Assieme al pesce, il segno del pane, allusione eucaristica, riporta al cap. 6 e alla moltiplicazione dei cinque pani e due pesci. Cristo è colui che desidera la nostra vita fino al punto di aver dato la propria. Questo è il senso del pane con cui ogni domenica ci nutre. Quel pane è fondamento della nostra fede e della nostra speranza. C'è tuttavia ancora una rete che attende di essere riempita e una notte che chiede di essere illuminata: il rinnegamento di Pietro. La triplice domanda che Gesù rivolge al futuro pastore del suo gregge è un rimando troppo evidente, che Pietro intuisce bene. La riconciliazione chiede verità, non finzione. Per questo Gesù vuole attraversare assieme all'Apostolo, di nuovo, quella notte. Ma non v'è solo memoria. C'è soprattutto futuro. Ora Pietro non conta più su di sé, ma sulla conoscenza che Cristo ha di lui. Gesù sa quanto Pietro lo ami. Ma lo stesso Gesù prospetta un avvenire. Questa è la magia del perdono: richiamare il passato dischiudendo un nuovo avvenire. Il pescatore diverrà pastore e imparerà a guardare gli altri con la medesima cura con cui ora Gesù si occupa di lui. Questa è la grazia del Risorto: non c'è tradimento che non possa essere riassorbito dal perdono e convertito in una nuova fedeltà.


VITA PASTORALE N. 3/2010 (commento di Claudio Arletti,
presbitero della arcidiocesi di Modena-Nonantola)


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