ANNO C - 4 aprile 2010
Domenica di Pasqua
At 10,34a.37-43
Col 3,1-4 [1Cor 5,6b-8]
Gv 20,1-9 (sera: Lc 24,13-35)
Domenica di Pasqua
At 10,34a.37-43
Col 3,1-4 [1Cor 5,6b-8]
Gv 20,1-9 (sera: Lc 24,13-35)
L'ANNUNCIO PASQUALE
INVITA A FARE MOMORIA
I racconti della tomba vuota in tutti i vangeli, anche nel quarto vangelo, esprimono un grande anelito all'incontro con i resti mortali del Crocifisso. La Maddalena si reca al sepolcro senza unguenti appena inizia a fare giorno per ritrovare ciò che resta dell'amato Maestro. Il cadavere è l'ultima testimonianza della sua esistenza. Eppure la pietra ribaltata dirotta altrove l'appassionato zelo della donna, come se la sua ricerca fosse totalmente priva di significato. Perché, infatti, cercare il Vivente fra i morti, come affermano gli angeli nel parallelo racconto lucano? È come cercare qualcosa là dove mai potrei trovarlo.
Il sepolcro, goffo tentativo di memoria, non è il luogo dell'incontro con il Risorto. Esso è il fragile tentativo di creare un ricordo, come si evince anche dal termine greco che rimbalza nel testo giovanneo sei volte in sei versetti. Non per nulla il vocabolo reso con "sepolcro" ha a che fare con termini quali "memoria", "ricordo" e affini. Esiste invece un altro luogo infallibile e carico di senso dove gli angeli dirigono l'attenzione delle donne: la memoria biblica. Ciò è esplicitato dal racconto lucano. Esso contiene l'imperativo angelico: «Ricordatevi come vi parlò» (Lc 24,6). Allora l'imprevedibile non appare più così estraneo e incomprensibile. Già lungo il ministero pubblico, Gesù aveva annunciato quanto ora i primi testimoni vivono presso la tomba. Le figure angeliche ripetono il contenuto fondamentale delle predizioni pasquali e le donne, nel testo lucano, ricordano le sue parole (Lc 24,8). L'incontro si realizza attraverso il ricordo. Anche il discepolo amato in Gv 20,9 giunge a credere quando "comprende" la Scrittura.
Questa memoria è lo spazio vitale dove ogni credente, d'ora in poi, sarà invitato a consumare la propria comunione con Cristo. Solo la memoria della Scrittura illumina l'intelligenza perché capisca fino in fondo ciò che vede. Il processo, potremmo dire, è opposto all'ordinaria comprensione: noi guardiamo, quindi capiamo e dunque ricordiamo ciò che già abbiamo visto o vissuto. Presso la tomba, né Pietro, né il discepolo amato sono aiutati dal semplice sguardo sulle cose. Pensiamo anche alla grande scena di Emmaus, per tornare al vangelo di Luca e al ruolo essenziale giocato dall'omelia dello sconosciuto pellegrino che apre la mente a comprendere le Scritture. La memoria è vera risurrezione. Ogni qualvolta noi ricordiamo qualcuno che non c'è più, attraverso immagini, parole, istanti, egli ritorna a vivere in noi. Il nostro cuore è come un sepolcro, dove tanto è seppellito e può essere risvegliato se decidiamo di ridare vita al ricordo che giace sopito dentro di noi. Il peccato, al contrario, è dimenticanza e oblio. Esso è frattura nelle relazioni, perdita dell'altro anche quando è ben presente e vicino a me. Non per nulla il Deuteronomio ammonisce Israele, prima dell'ingresso nella Terra, affinché non dimentichi l'opera di Dio. L'amnesia a volte ci è dolce, perché il ricordo è insopportabile. L'amnesia si rivela allora sorella della fissazione che è il suo contrario: non voler dimenticare per guardare avanti. Le grandi patologie del nostro tempo sono patologie della memoria: non riusciamo a dimenticare o non vogliamo ricordare in una diabolica oscillazione tra fissazione e rimozione. Spesso proprio la colpa è il fattore che squilibra tutta la nostra memoria. Per questo i racconti evangelici presentano la tomba vuota e il Cristo giovanneo mostrerà le mani e il costato ai discepoli.
La tomba vuota non presenta più la prova che ci inchioda nella colpevolezza. Il corpo trafitto di Gesù è memoria del nostro peccato. Le sue ferite sono il prezzo della nostra guarigione (Is 53,5). Come avrebbero potuto gli Undici fissare le mani e i piedi di Gesù se Egli li avesse mostrati come rimprovero per l'abbandono patito nel Getsemani? Invece la tomba è vuota. Non c'è prova del nostro misfatto. Quando il Risorto mostrerà mani e piedi sarà per essere riconosciuto nella sua volontà di stare con i propri discepoli e di dare compimento alla loro gioia. Ora ogni peccato sarà ricordato sul volto del Risorto e trasfigurato entro la sua esistenza trasfigurata. L'eucaristia, Pasqua perenne della Chiesa, è precisamente anamnesi: non dimenticanza della passione, morte e risurrezione del nostro Signore, ma "memoriale". Ad ogni celebrazione noi ricordiamo un crimine immane.
Eppure il ricordo del crimine evolve fino a riportarci all'amore salvifico del Padre, che nel Figlio ci ha redenti. L'annuncio pasquale è inscindibile dall'invito a ricordare, e a farlo in maniera nuova. Non si tratta di lottare contro l'inevitabile usura del tempo per cui è sempre più difficile ricordare ciò che è lontano, man mano che gli anni passano. La memoria sarebbe solo sforzo volontaristico in quel caso. Noi siamo chiamati a ricordare la Parola che si compie. Essa non guarda solo al passato, ma, protesa verso il futuro, ci sospinge fino all'eternità. Ogni parola di Gesù si è compiuta. Per questo domanda la nostra fede. Ricordando la Parola che si compie e guida la storia, noi usciamo dalla gretta piccolezza dei nostri progetti per entrare in piena sintonia con la salvezza operata da Dio. Ricordare le Scritture è partecipare alla lenta ma inesorabile crescita del Regno che matura fino alla sua pienezza. Così siamo consegnati all'eternità e vinciamo la morte perché tutto ciò che Dio ricorda, ossia porta nel cuore, non conosce fine.
Il sepolcro, goffo tentativo di memoria, non è il luogo dell'incontro con il Risorto. Esso è il fragile tentativo di creare un ricordo, come si evince anche dal termine greco che rimbalza nel testo giovanneo sei volte in sei versetti. Non per nulla il vocabolo reso con "sepolcro" ha a che fare con termini quali "memoria", "ricordo" e affini. Esiste invece un altro luogo infallibile e carico di senso dove gli angeli dirigono l'attenzione delle donne: la memoria biblica. Ciò è esplicitato dal racconto lucano. Esso contiene l'imperativo angelico: «Ricordatevi come vi parlò» (Lc 24,6). Allora l'imprevedibile non appare più così estraneo e incomprensibile. Già lungo il ministero pubblico, Gesù aveva annunciato quanto ora i primi testimoni vivono presso la tomba. Le figure angeliche ripetono il contenuto fondamentale delle predizioni pasquali e le donne, nel testo lucano, ricordano le sue parole (Lc 24,8). L'incontro si realizza attraverso il ricordo. Anche il discepolo amato in Gv 20,9 giunge a credere quando "comprende" la Scrittura.
Questa memoria è lo spazio vitale dove ogni credente, d'ora in poi, sarà invitato a consumare la propria comunione con Cristo. Solo la memoria della Scrittura illumina l'intelligenza perché capisca fino in fondo ciò che vede. Il processo, potremmo dire, è opposto all'ordinaria comprensione: noi guardiamo, quindi capiamo e dunque ricordiamo ciò che già abbiamo visto o vissuto. Presso la tomba, né Pietro, né il discepolo amato sono aiutati dal semplice sguardo sulle cose. Pensiamo anche alla grande scena di Emmaus, per tornare al vangelo di Luca e al ruolo essenziale giocato dall'omelia dello sconosciuto pellegrino che apre la mente a comprendere le Scritture. La memoria è vera risurrezione. Ogni qualvolta noi ricordiamo qualcuno che non c'è più, attraverso immagini, parole, istanti, egli ritorna a vivere in noi. Il nostro cuore è come un sepolcro, dove tanto è seppellito e può essere risvegliato se decidiamo di ridare vita al ricordo che giace sopito dentro di noi. Il peccato, al contrario, è dimenticanza e oblio. Esso è frattura nelle relazioni, perdita dell'altro anche quando è ben presente e vicino a me. Non per nulla il Deuteronomio ammonisce Israele, prima dell'ingresso nella Terra, affinché non dimentichi l'opera di Dio. L'amnesia a volte ci è dolce, perché il ricordo è insopportabile. L'amnesia si rivela allora sorella della fissazione che è il suo contrario: non voler dimenticare per guardare avanti. Le grandi patologie del nostro tempo sono patologie della memoria: non riusciamo a dimenticare o non vogliamo ricordare in una diabolica oscillazione tra fissazione e rimozione. Spesso proprio la colpa è il fattore che squilibra tutta la nostra memoria. Per questo i racconti evangelici presentano la tomba vuota e il Cristo giovanneo mostrerà le mani e il costato ai discepoli.
La tomba vuota non presenta più la prova che ci inchioda nella colpevolezza. Il corpo trafitto di Gesù è memoria del nostro peccato. Le sue ferite sono il prezzo della nostra guarigione (Is 53,5). Come avrebbero potuto gli Undici fissare le mani e i piedi di Gesù se Egli li avesse mostrati come rimprovero per l'abbandono patito nel Getsemani? Invece la tomba è vuota. Non c'è prova del nostro misfatto. Quando il Risorto mostrerà mani e piedi sarà per essere riconosciuto nella sua volontà di stare con i propri discepoli e di dare compimento alla loro gioia. Ora ogni peccato sarà ricordato sul volto del Risorto e trasfigurato entro la sua esistenza trasfigurata. L'eucaristia, Pasqua perenne della Chiesa, è precisamente anamnesi: non dimenticanza della passione, morte e risurrezione del nostro Signore, ma "memoriale". Ad ogni celebrazione noi ricordiamo un crimine immane.
Eppure il ricordo del crimine evolve fino a riportarci all'amore salvifico del Padre, che nel Figlio ci ha redenti. L'annuncio pasquale è inscindibile dall'invito a ricordare, e a farlo in maniera nuova. Non si tratta di lottare contro l'inevitabile usura del tempo per cui è sempre più difficile ricordare ciò che è lontano, man mano che gli anni passano. La memoria sarebbe solo sforzo volontaristico in quel caso. Noi siamo chiamati a ricordare la Parola che si compie. Essa non guarda solo al passato, ma, protesa verso il futuro, ci sospinge fino all'eternità. Ogni parola di Gesù si è compiuta. Per questo domanda la nostra fede. Ricordando la Parola che si compie e guida la storia, noi usciamo dalla gretta piccolezza dei nostri progetti per entrare in piena sintonia con la salvezza operata da Dio. Ricordare le Scritture è partecipare alla lenta ma inesorabile crescita del Regno che matura fino alla sua pienezza. Così siamo consegnati all'eternità e vinciamo la morte perché tutto ciò che Dio ricorda, ossia porta nel cuore, non conosce fine.
VITA PASTORALE N. 3/2010 (commento di Claudio Arletti,
presbitero della arcidiocesi di Modena-Nonantola)
presbitero della arcidiocesi di Modena-Nonantola)
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