Tavola rotonda








Atti del XXII Convegno Nazionale
3-6 Agosto 2009

dal Notiziario n. 9 – Anno VII
(Supplemento al n. 158-159 della Rivista)



Testimonianze ed esperienze: il dialogo in assemblea


Al Convegno di S. Giovanni Rotondo si è tenuta un'interessante tavola rotonda, nel corso della quale sono state presentate alcune testimonianze e illustrate alcune esperienze, a cui è seguito un dialogo in assemblea. Si riportano qui alcuni degli interventi fatti.


MARIA (moglie del diacono Panzarella Antonio diocesi di Palermo)
Desidererei conoscere qualcosa in più riguardo alla "rete" delle mogli, in cosa consiste e di cosa si occupa.

Risponde MONTSERRAT MARTINEZ
La "rete" è un modo per mettere in contatto le mogli delle diverse realtà, di diversi paesi, sia per comunicare le attività sia per avere la possibilità di esprimere i pensieri, i sentimenti di ciascuna di noi.
È un mezzo di comunicazione molto interessante, per esempio, se noi facciamo una riunione per preparare la futura area mediterranea, è interessante per comunicare dove, quando e la possibilità di partecipare.

ROSETTA (moglie del diacono Esposito Pasquale diocesi di Gaeta)
Ho molto apprezzato le esperienze della signora Martinez e della signora Laura e mi trovo molto d'accordo con quanto ha detto la signora Marie- Françoise.
Noi siamo mogli di diaconi, molto importanti per i mariti nella loro formazione ma poi dobbiamo stare nell'ombra e senza fare ombra. E questo in me, non so se anche nelle altre, mette un po' di ribellione ed inoltre i diaconi dovrebbero trovare un equilibrio tra preghiera, carità e famiglia. Grazie

Risponde MARIE-FRANCOISE MANCIENT-HANQUEZ
Ho capito bene, non sono assolutamente d'accordo con il fatto di scomparire. Sono d'accordo sulla sua ribellione, le distanze se vuole le prenda, uno sguardo critico aiuta il diacono nel suo ministero.

CONCETTA (moglie del diacono Lentini Francesco diocesi di Noto)
Mi trovo d'accordo sia con la signora Martinez sia con la signora Corradini in quanto si matura la scelta del diaconato dopo che si è fatto un percorso che per la moglie è un arricchimento. Sono un pochino critica verso la signora Marie-Françoise: se il marito era così pronto e lei non ancora pronta per questa decisione, forse un pochino si doveva spettare. E non vedo nemmeno come problema il fatto che la moglie sia all'ombra del marito diacono ma per lei non è che un arricchimento grandissimo.

Risponde MARIE-FRANCOISE MANCIENT-HANQUEZ
Ho detto che non è il profilo sistematico di tutte le mogli, ma capisco che non essendo uguale per tutti io durante il periodo di incamminamento di mio marito mi sono trovata in una posizione diversa. Ma al tempo stesso, man mano che procedeva la preparazione, sono arrivata al giorni dell'ordinazione serena. Può essere quella che si chiama la grazia dello Spirito: io l'ho chiamata così.
Credo che non ci sia un solo modo di vivere il diaconato da parte delle spose: la doppia sacramentalità è un cammino che facciamo insieme, ma l'ordinazione del marito noi l'accompagniamo ciascuna a suo modo: la generosità, l'amore, l'accettazione e il desiderio di fare insieme una chiesa più diaconale.

MARIANGELA (moglie del candidato Basile Paolo diocesi di Volterra)
Mio marito fa ancora l'anno di discernimento quindi sto discernendo anch'io.
Continuerei con quello che la signora Martinez ha detto aggiungendo con l'aiuto e con la complementarietà: io moglie rimango accanto a mio marito per aiutarlo a far sì che la grazia si irradi nella nostra comunità.
Un'altra cosa mi sembra importante: insieme al marito c'è la moglie, ma ci sono anche i figli e le altre persone che gli stanno vicino. Siamo una squadra che gioca insieme perché la Chiesa e il Vangelo siano portati in mezzo agli altri.
Credo che se prendo il diaconato sotto questo punto di vista, di squadra per lavorare insieme, perché nostro Signore ci chiama per questo, io accetto di essere la moglie di un diacono altrimenti, mi dispiace, ma sarebbe troppo difficile per me stare nell'ombra ed essere completamente estranea al suo mandato e come me così la mia famiglia, le figlie e le persone che ci stanno intorno.

BITETTO don VITO (delegato diocesi Bari-Bitonto)
Io domando se nel discernimento vocazionale è coinvolta anche la moglie, la famiglia, i figli o si scopre dopo che già è avviato il cammino? Nel discernimento deve essere coinvolta la moglie altrimenti si scopre troppo tardi se c'è l'accordo o meno.
Faccio un esempio: qualche volta il marito, che vuole essere diacono, lo fa perché si vuole liberare del peso della famiglia e allora succede che bisogna ascoltare anche l'altra parte, se la moglie sa perché vuole essere candidato il marito.
Per quasi dieci anni ho fatto discernimento ascoltando marito e moglie ma così non va perché, stando insieme, sono condizionati e allora ho salvato tre casi chiamandoli separatamente, altrimenti si scopre che né l'uno né l'altro sono sulla via giusta. In questo modo si cresce già nel momento della formazione e poi si completa dopo quando c'è l'esperienza dell'essere diacono.

ANNA MARIA (moglie del diacono Agagliati Giorgio diocesi di Torino)
Vorrei portare un'esperienza di discernimento: la mia.
È vero che il discorso del discernimento viene rivolto al marito però ho avuto la fortuna di incontrare, mentre facevo il cammino assieme a mio marito, delle mogli di diaconi che mi hanno proprio affiancato e quindi avevo la possibilità di discutere con una mia "pari" tutti i problemi che potevano emergere e questo, secondo me, è un valore aggiunto che ha l'essere moglie di un diacono.
Chiaramente non è un lavoro che possono fare tutti: io sono stata fortunata a trovare delle splendide persone che mi hanno davvero aiutato e una cosa che io ritengo sia davvero importante è il non aver paura di dire che si hanno dei problemi perché finché uno conosce i problemi li risolve, nel momento in cui giochiamo tutte a fare le superdonne (che bello avere il marito diacono, no vedo l'ora!) alla prima difficoltà cadiamo.
E il discorso che faceva Marie-Françoise sulla ricerca sul come le donne vivono l'essere mogli di un diacono oppure l'essere mogli di un marito che è diacono, se lo riuscissimo a fare anche noi potrebbe darei dei grossi elementi anche per avere la possibilità di curare maggiormente il cammino delle mogli in preparazione al diaconato dei mariti.
Perché credo che non dappertutto si ponga abbastanza attenzione al fatto che se uno cresce e l'altro fa fatica a stargli dietro succede che una coppia zoppa non funziona neanche se è una coppia diaconale.

Risponde AURELIO ORTIN diocesi di Barcellona
Apprezzo tutti gli interventi fatti e specialmente quelli delle spose e voglio sottolineare una questione importante di tipo teologico perché noi stiamo vivendo qui un mistero di fede: noi parliamo della relazione tra sacramento del matrimonio e sacramento dell'ordine.
Questo è un mistero di fede e quello che voglio sottolineare è il sì che la coppia si dà nel momento del matrimonio e che va maturando lungo tutta la vita e il sì che la moglie pronuncia perché il marito possa essere ordinato, non è solo un sì di tipo burocratico, questo sì è presente in qualche modo misterioso (nostro Signore sa in quale maniera) in tutta la vita ministeriale dei diaconi.
Sono convinto di questa realtà e pertanto è una questione importante di fede e di mistero che a poco a poco i diaconi e la nostra chiesa devono approfondire in questo inizio del rinnovamento del diaconato.
Rendo grazie a Dio per questo rinnovamento e come detto ieri nel lavoro di gruppo noi dobbiamo vivere con speranza questo momento della nostra chiesa.
Grazie alle mogli, grazie ai diaconi e grazie alla nostra chiesa.

Diacono FERRARI GUGLIELMO (diocesi di Modena-Nonantola)
Io credo che la chiesa sia stata molto sapiente nel chiedere due volte, lungo il cammino del diaconato, alle spose il loro sì, la loro adesione. Una prima volta viene chiesto pubblicamente, nell'assemblea liturgica, nel momento della candidatura.
La seconda volta viene chiesto anche per iscritto nel momento dell'ordinazione. È bello che ci sia un sì quasi all'inizio e un sì nel momento finale. Il primo sì è molto importante perché è preceduto da quello che è chiamato l'anno propedeutico cui mi auguro partecipino tutte le spose dei futuri diaconi. Il secondo sì è un sì più maturo, definitivo se volete, ma che ha avuto ancora almeno tre anni di cammino fatto insieme. Se questi sì fossero dei sì dati semplicemente nell'ignoranza o nell'inconsapevolezza o per compiacenza, non sono sì; e allora stiamo attenti a non rovinare un matrimonio per avere un diacono che se poi salta il matrimonio abbiamo perso anche il diacono.

TRABACCHIN don GIANNI (diocesi di Vicenza)
Ringrazio per gli interventi e condivido in particolare quello che ha detto la signora Anna (Agagliati n.d.r.).
Nel cammino che ognuno fa (nella mia diocesi ormai è tradizione) c'è una coppia che accompagna ogni gruppo e la moglie normalmente è punto di riferimento per le spose: è lei che telefona a casa una volta alla settimana o ogni quindici giorni.
Credo che dobbiamo entrare nella prospettiva che anche le mogli dei diaconi hanno una funzione formativa essenziale visto che parliamo di discernimento; magari a livello di chiesa non è ancora riconosciuta ufficialmente ma penso che a livello di esperienza questo sia assolutamente indispensabile.
Non è un problema se le mogli non sono proprio perfette perché se in una chiesa c'è qualche povero che ci educa, se c'è qualche moglie povera che accompagna quelli che sono in formazione, è un dono di grazia: così ci si sente anche più a proprio agio nel cammino al servizio del Vangelo.
Quindi non bisogna nemmeno andare in cerca di chi sa quale coppia perfetta, formata da una moglie perfetta e da un diacono perfetto, ci sono coppie abbastanza normali che possono assumersi la responsabilità sia del discernimento che della formazione.

MARIA (moglie del diacono Ria Enzo diocesi di Lecce)
Mio marito è diacono da vent'anni e voglio raccontare la mia esperienza.
Il sì della moglie nei confronti del diaconato del marito, deve nascere da un'esperienza di diaconia di fatto già sperimentata prima di scoprire la predisposizione al diaconato ministeriale.
È questa la nostra esperienza: noi non ci siamo accorti di fare una diaconia di fatto, perché insieme (come ha detto nella sua relazione il vescovo Merisi) lavorando con i poveri, sperimentando questa diaconia della povertà, nelle zone emarginate, disagiate, diseredate della città, qualcuno si è accorto che mio marito poteva fare il diacono. E la chiesa di Lecce ha aperto al diaconato proprio con mio marito vent'anni fa.
lo ho maturato questo sì e quando mi è stato chiesto se volevo che mio marito diventasse diacono, ho risposto così: "Ringrazio il Signore di questo dono che viene a completare il dono già grande del matrimonio e a dirmi che sono io la serva del Signore pronta a cantare il Magnificat, a elevare a Dio il ringraziamento di lode e di benedizione perché viene ad arricchire la mia famiglia con due figli che hanno accolto questo annuncio come un grande dono".
Quindi abbiamo maturato già prima (e mi trovo molto d'accordo con la signora Laura e con la signora Martinez) che il sì va maturato, non è un sì di compiacimento al marito perché sta scegliendo di fare il servo della Parola, il servo della carità.
Ringrazio i Signore per questo ed ho portato il mio esempio di donna, di madre e di sposa.

Conclusione di DON GIUSEPPE BELLIA
Vorrei che si prendesse atto innanzitutto di alcuni fatti: l'Italia è lunga e ci sono tante esperienze. Non tutti i diaconi arrivano all'ordinazione con un medesimo coinvolgimento delle spose a tutti i vari livelli. Questo va ricordato altrimenti qui parliamo linguaggi incomprensibili.
D'altra parte c'è un rischio che noi presbiteri che accompagniamo da anni cogliamo. Il rischio è che ogni singola coppia, forse ingenuamente, quasi si presenta come esempio esemplare nel bene e nel male.
Non è così perché la coppia essa stessa è in divenire, c'è un'intelligenza delle vocazioni che sono all'inizio, sono durante, sono dopo e continuano.
In quanto presbiteri e delegati abbiamo una visione forse più completa. Io posso fare tesoro del fatto che già prima di essere direttore e dopo, sono stato per anni assistente spirituale e ho avuto le richieste di chiarimento e di aiuto da parte di molti delegati e da parte di singole coppie.
Arriverei a questo dato conclusivo: mi ricordo a partire del '92 che tipo di intervento hanno fatto le mogli in queste aule. Se qualcuna ha memoria sa che siamo partiti da un atteggiamento devoto della moglie che chiedeva "almeno" di diventare ministro straordinario dell'Eucaristia.
Da questo punto di vista mi è sembrato che ci siano, negli interventi delle spose, degli strati culturali e religiosi diversi. Mi premeva dire, per l'esperienza che ho, che l'intervento della signora Marie-Françoise è in qualche modo un po' sopra le righe ma presenta un livello di criticità cui ci dobbiamo preparare. Voglio che ci pensiate a questo perché negli ultimi anni ho visto coppie partire perfette e arrivare sfasciate.
Abbiamo visto anche il contrario: coppie con una reale difficoltà e arrivare ad una maturazione dei singoli e della coppia. Questo non si deve mai dimenticare perché anche pensare all'ordinazione del diacono però con una moglie quasi di supporto o integratrice crea un poco di confusione prima, durante e dopo. Si tratta di ruoli diversi che bisogna riscoprire, altrimenti tutto quello sul quale abbiamo riflettuto in merito al laicato e sulla sua autonomia dove va a finire?
Allora richiederei non dico di sospendere il giudizio ma di pensare che in prospettiva ci sono, avanti a noi, degli orizzonti di crescita complessiva di coppie individuali che ci aspettano al varco.

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