Per una spiritualità biblica...




Atti del XXII Convegno Nazionale
3-6 Agosto 2009



Per una spiritualità biblica del ministero diaconale
Raniero Cantalamessa





«Non così è tra voi»
Chi è stato il primo diacono del cristianesimo: Santo Stefano, San Lorenzo? Lo sapete già, sento la risposta nei vostri cuori. Il primo diacono è Gesù, quindi avete l'onore di essere anche da questo punto di vista imitatoti, discepoli di Gesù. E a proposito di Gesù, quando si parla di lui bisogna fare subito una premessa: una premessa che dovrebbe cambiare il tono, l'atmosfera, lo stato d'animo di chi ascolta e di chi parla. E la premessa è che quando parliamo d Gesù non parliamo di un assente ma di un presente qui in sala, mica astratto, di uno che è qui davanti a noi, che ascolta perché è risorto, è presente la «dove due o tre sono riuniti nel suo nome» e io sono certo che voi siete riuniti nel suo nome, è presente!
Allora parliamo di Gesù ma dobbiamo fare questo corto circuito tra passato e presente e pensare che stiamo parlando di uno che è qui in mezzo a noi. Dove sta scritto che Gesù è il primo diacono? Bene vi devo ringraziare di questo invito perché è stata l'occasione per me di scoprire che Gesù si è definito lui stesso diacono. E adesso premettiamo proprio alcune sue parole dove Lui fa precisamente questo. «All'udire questo (cioè che Giovanni e Giacomo volevano sedere uno alla destra e uno alla sinistra di Gesù) gli altri dieci si sdegnarono. Allora Gesù chiamateli a sé disse loro: Voi sapete che coloro che sono ritenuti capi delle nazioni le dominano e i loro grandi esercitano su di essi potere. Fra voi, però, non è così ma chi vuoi essere grande fra voi si farà vostro diacono» Mc (10, 41-45).
Qui c'è la parola (nel testo originale) "diacono". «E chi vuoi essere primo tra voi sarà il servo (qui c'è la parola doulos che sarebbe più precisamente "schiavo") di tutti». Lasciamo la seconda parte. Vale la pena di porre l'attenzione su questo discorso così fondamentale perché possiamo dire che è quello che dà il tono a tutta la morale, l'ascetica, la spiritualità evangelica. Leggiamolo anche nei testi paralleli: Mt 20, 24-28 «Gli altri dieci si sdegnarono con i due fratelli ma Gesù chiamateli a sé disse: I capi delle nazioni dominano su di esse e i grandi esercitano su di esse il potere. Non così tra voi; ma colui che vorrà diventare grande tra voi si farà vostro diacono (noi siamo abituati a sentire "servo") e colui che vorrà essere il primo tra voi si farà vostro schiavo. Come il Figlio dell'uomo che non è venuto per essere "diaconizzato" (sarebbe alla lettera) ma per servire (cioè per fare il diacono)». Avete mai pensato a questo? A volte tornare al testo greco è molto istruttivo, dice delle cose semplicissime che però le traduzioni banalizzano perché per noi "servo" è un termine molto più generico. Quindi Gesù dice di essere venuto nel mondo per fare il diacono e questo, penso, dovrebbe dare a voi un certo orgoglio. Leggiamo anche il testo parallelo di Luca 22,26-27: «Per voi però non sia così; ma chi è il più grande tra voi diventi come il più piccolo e chi governa come colui che serve (come colui che fa il diacono). Infatti chi è più grande, chi sta a tavola o chi serve? Non è forse colui che sta a tavola? Eppure io sto in mezzo a voi come diacono». La stessa cosa detta, non in termini così generali, ma plasticamente, rappresentata drammaticamente c'è nel Vangelo di Giovanni con la lavanda dei piedi conclusa la quale Gesù dice: «Sapete ciò che vi ho fatto? Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene perché io lo sono. Se dunque io, il Signore e Maestro ho lavato i vostri piedi anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato l'esempio perché come ho fatto io facciate anche voi». Questa è una delle parole, senza dubbio, più rivoluzionarie e più innovative di tutto il Vangelo perché il servizio, la diaconia, da attività e condizione servile, umiliante come era presso il mondo pagano, greco-latino, cambia segno, diventa condizione, segno di grandezza.

La Parola struttura il mistero
Questa inversione dei valori non è che si produca così, solo perché uno scrittore si mette a usare un termine, occorre che sia successo qualcosa, uno scossone tale che abbia cambiato il senso alle parole, perché ha cambiato la realtà, ha introdotto una nuova scala di valori. La stessa cosa in Paolo: quando Paolo scopre Cristo testimonia un cambiamento di segno: «Quello che patii prima mi sembrava un guadagno, è diventata una perdita». Francesco d'Assisi dirà la stessa cosa e cioè che le cose cambiano segno: «Quello che mi pareva amaro (cioè vedere i lebbrosi) mi fu convertito in dolcezza». Una rivoluzione di questo tipo, ma di portata più universale, è avvenuta a proposito del servizio, con la venuta di Gesù.

Per chi è questa Parola?
Prima di procedere, però, teniamo conto di una cosa: queste parole di Gesù sono rivolte a tutti i discepoli; però ci sono parole del Vangelo che pur essendo destinate a tutti sono state prese nella chiesa come norma, diciamo ideale o speciale, un ministero, funzione speciale e in questo senso riguarda voi, i diaconi, perché per voi, quello che per tutti i cristiani è un dovere, per voi è una professione, una scelta o meglio una chiamata in un modo speciale. Cioè voi siete destinati a rendere manifesta nella chiesa questa novità, questa rivoluzione che riguarda tutti.
La via migliore per rendersi conto della rivoluzionarietà di questa parola di Gesù è quella di fare un confronto con Nietzsche. Perché tiriamo fuori così spesso quest'uomo? Perché egli rappresenta proprio il punto di vista pagano. Lui ha voluto l'umanità, la cultura, indietro, prima del cristianesimo (e per questo è uno dei padri del post-cristianesimo) e ci permette di toccare con mano cosa c'è di tanto rivoluzionario in questa parola di Gesù. Si sa che Nietzsche ha attaccato frontalmente il cristianesimo, il Vangelo e anche Cristo nonostante ciò che alcuni dicono (oggi per salvare Nietzsche ne fanno un profeta, si ricorre alla solita distinzione - sì ma lui attacca i cristiani e non Cristo - non è vero). Si fa torto, dice uno studioso francese molto noto, proprio a Nietzsche perché lui ha voluto essere questo, è inutile addomesticarlo, lui dice o Cristo o Dioniso. Quindi non è solo con il cristianesimo storico che se la prende. E perché se la prende con Cristo, con il Vangelo? Perché secondo lui ha introdotto nel mondo il cancro dell'umiltà, il cancro del servizio. Voglio leggervi un testo, scritto dalla sorella di Nietzsche come prefazione alla sua opera Così parlò Zaratustra. «Egli (cioè il fratello Nietzsche) suppone che per il risentimento di un cristianesimo debole e falsato, tutto ciò che era bello, forte, superbo, potente come le virtù provenienti dalla forza sia stato proscritto e bandito e che perciò siano diminuite di molto le forze che promuovono e innalzano la vita. Ma ora, grazie a mio fratello, una nuova tavola di valori deve essere posta sopra l'umanità cioè il forte, il potente, il magnifico uomo, fino al punto più eccelso, il superuomo che ci è adesso presentato con travolgente passione quale scopo della nostra vita, della nostra volontà e della nostra speranza».

Il risentimento dei vili
Cioè Nietzsche dice che questo proclamare il servizio, esaltare il servizio, le virtù dell'umiltà, della mansuetudine è frutto di un risentimento dei deboli contro i forti, è una morale da schiavi. Cioè i deboli non potendo dominare, essere serviti, fare grandi cose, innalzano a valore supremo il servizio, l'umiltà, la rassegnazione. E in questo modo, dice Nietzsche, ha introdotto il cancro nell'umanità perché ha svilito le forze dell'umanità, impedendo all'uomo di fare grandi cose, tarpando le ali all'umanità, per così dire, non gli fa desiderare di fare grandi cose quindi ne va di mezzo il progresso dell'umanità.

L'elevazione degli umili
Cosa si può rispondere a Nietzsche? Che la sua è un'accusa completamente fuori posto e che Gesù non ha mai detto che non bisogna fare cose grandi, non ha mai detto che non bisogna aspirare a cose grandi, non ha mai detto che è sbagliato desiderare di essere il primo. Infatti dice «se qualcuno di voi vuole essere il primo», quindi è possibile, nel pensiero di Gesù, volere primeggiare. È cambiata solo la via per realizzare questo: mentre per Nietzsche la via per primeggiare è schiacciare gli altri sotto di sé (e Hitler interpreterà bene questo programma, come sapete, distruggendo tutti quelli che impedivano di far emergere la razza pura, il superuomo) per Gesù la via è di farsi umile mettersi sotto tutti gli altri per elevarli. Ma è chiaro che questo è molto più utile all'umanità che non il primo perché nel primo c'è un superuomo che schiaccia gli altri e domina e farà parlare di sé, in quest'altro modo tutti sono elevati: piccoli, grandi, tutti sono elevati! Una Madre Teresa che serve, che sta sempre in ginocchio a lavare i piedi evidentemente ha portato all'umanità più bene che non il pensiero di Nietzsche. Nietzsche ha ragione laddove dice che il Vangelo è l'inversione di tutti i valori: sì ma un'inversione buona, non un'inversione come diceva lui un regresso ma un progresso immenso. Il punto fermo della cultura moderna è l'attenzione ai deboli, agli ultimi, agli handicappati, prendere cioè la parte dei deboli contro i forti. Ma questo viene da Gesù! Oggi stranamente questo merito se lo arrogano alcuni contro i cristiani ma chi ha introdotto nel mondo il valore che la vittima è più grande del carnefice è il cristianesimo, è Gesù il quale è stato la prima vittima (vietor quia victima dice Sant'Agostino). Ha inaugurato un nuovo tipo di vittoria che consiste nel farsi vittima, non nel fare vittime, nel farsi vittima. Almeno tra noi che sia chiaro questo, che non ci lasciamo impressionare quando si continua a citare Nietzsche ancora perché lui va per la maggiore, lo chiamano il profeta, il profeta dei tempi moderni, del post-cristianesimo. A lui bisogna riconoscere questo merito, se l'ha fatto con buona intenzione ha fatto anche un servizio perché ha scosso i cristiani e li ha costretti, per esempio, a rivedere questo testo che noi non avremmo mai capito fino in fondo se non ci fosse stata la provocazione di Nietzzsche. Il cristianesimo non tarpa le ali, non impedisce di fare cose grandi di essere i primi, di voler primeggiare, solo che ha cambiato la strada per realizzare ciò.

Cosa definire ragionevole?
Adesso passiamo alla seconda parte del discorso. Dopo aver tracciato questa regola, Gesù ne dà il fondamento: la diaconia, cioè il servizio a tavola dei servi, che era una cosa spregevole ed umiliante, è diventata la tessera della grandezza. E il motivo non è come avrebbe detto Aristotele, un principio, perché le virtù secondo Aristotele si basano sulla retta ratio, perché è ragionevole che sia così.
Chi l'ha detto che è ragionevole che sia così? In questo caso non tiene, non si può fondare il servizio su un principio astratto di retta ragione. No, no, il motivo non è un principio astratto, è una persona, anzi un evento: il Figlio dell'Uomo infatti non è venuto per essere servito ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti.

Il fondamento cristologico
In Matteo, dopo aver dato quella regola, Gesù dice: «Come il figlio dell'Uomo che non è venuto per essere servito ma per servire». E in Luca «Chi è più grande chi sta a tavola o chi serve? Non è forse colui che sta a tavola? Ebbene io sto in mezzo a voi come colui che serve». Dunque la base, il fondamento, è cristologico, il fondamento del diaconato è cristologico, il che non è un principio astratto o solamente belle parole della teologia ma vuoi dire che o il diacono ha un rapporto personale con Cristo o è fuori strada.
O è una maniera di seguire Cristo e allora diventa una cosa splendida o diventa un mestiere come un altro, cioè quello che decide è Cristo, è la misura in cui si fa questo per Cristo. Ma è così per tutte le virtù, le virtù cristiane dobbiamo scordarcele; quelli che hanno studiato la Somma, ci dispiace per loro, anch'io ho studiato la Somma, ho fatto due ore e mezzo di esame orale in latino sulla Somma di San Tommaso: è stata una cosa splendida, però adesso la teologia biblica ci invita a tornare al Vangelo e fondare le virtù non su Aristotele ma su Gesù, su quello che ha fatto Gesù. La stessa cosa dirà Paolo nel famoso inno dei Filippesi: «Abbiate in voi gi stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù».
Quali sentimenti? Ed ecco il fondamento dell'obbedienza, perché lui si è fatto obbediente, si è fatto servo. Ecco il fondamento dell'umiltà «il quale pur essendo di natura divina non considerò un tesoro geloso l'essere pari a Dio ma spogliò sé stesso assumendo la condizione di servo, divenendo simile agli uomini apparse in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente sino alla morte e alla morte di Croce». Ecco il fondamento dell'obbedienza è qui; Aristotele avrebbe detto «l'obbedienza si fonda sul principio della retta ragione, che l'inferiore deve obbedire al superiore». Ma andatelo a dire ai giovani di oggi questo principio, i giovani devono obbedire ai grandi, ma chi lo ha detto, dove sta scritto questo? No, il motivo è un altro. Cristo si è fatto obbediente e ci ha salvato attraverso l'obbedienza. La stessa cosa è in Giovanni «lo il Maestro vi ho dato l'esempio quindi anche voi dovete fare lo stesso». Allora il diaconato, il servizio, sia quello generico di tutti i cristiani, sia quello specifico dei diaconi, ha un fondamento cristologico e non solo vagamente pastorale perché c'è bisogno dei diaconi, c'è bisogno di chi faccia i servizi pratici, ma è un motivo un po' più profondo.

Necessità contingenti
Sì, l'istituzione dei diaconi pare dovuta a una necessità contingente perché gli apostoli non arrivavano al servizio delle mense ma questo era il motivo immediato mentre il fondamento ultimo è che il diaconato è un aspetto privilegiato dell'imitazione di Cristo perché Lui chiarissimamente si è posto come modello. C'è anche però una dimensione pneumatologica nel servizio cristiano, cioè basata sullo Spirito Santo. San Paolo usa la frase diaconia pneumatos, la diaconia dello spirito (questa frase sono certo è risuonata spesso nella formazione vostra ed è forse anche qui in questi giorni).

Necessità dello Spirito
E per tutte queste parole, così dense, così concentrate bisogna avere un po' di pazienza per svolgere tutto quello che c'è dentro, perché sono usate nel contesto di una lettera; allora il senso profondo va visto in tutto il contesto e in questo caso si capisce che nell'espressione diaconia pneumatos, servizio dello Spirito, lo Spirito non è solo l'oggetto. Cioè un servizio reso allo Spirito, alle cose spirituali, alla predicazione, all'eucaristia e in questo senso allora la diaconia pneumatos sarebbe un privilegio più che altro dei preti, dei sacerdoti, dei gradi superiori della gerarchi perché loro hanno un servizio diretto dello Spirito, delle cose spirituali, non delle mense.
Difatti Pietro dirà «alcuni si devono occupare delle mense perché noi ci dobbiamo occupare della Parola di Dio e della preghiera». Allora se prendiamo pneumatos come oggetto significherebbe che c'è un servizio che ha come oggetto diretto le cose spirituali. Ma qui in diaconia pneumatos, "pneumatos" è anche il soggetto, cioè un servizio reso nello Spirito, con lo Spirito, un servizio che è spirituale alla sua radice, non solo per l'oggetto che tocca (la Parola di Dio, l'eucaristia) ma un servizio perché reso nello spirito, dalla creatura nuova che ha ricevuto lo spirito di Cristo e quindi è Cristo che serve ancora.
E qui il salto di qualità. Poiché il servizio cristiano è questo, un servizio dello Spirito, cioè dell'uomo spirituale che vive dello spirito di Cristo, il servizio che rende non è un servizio umano, è divino, è Gesù che sta servendo quella persona, è Gesù che sta lavando ancora i piedi perché lo fa il suo Spirito che vive in te. Ci sono testi di San Paolo che illustrano a meraviglia questo. Si è parlato poco fa di consolazione, non so a che proposito, forse in un ambito domestico, ma la consolazione è sempre la stessa. Allora Paolo nella seconda lettera ai Corinzi «Benedetto sia Dio Padre, Dio di ogni consolazione il quale ci consola (badate che dietro questi termini "consolare" c'è un termine familiare: paraclito) in ogni nostra tribolazione affinché anche noi possiamo consolare (anche qui il ricorso al testo greco apre degli orizzonti incredibili perché alla lettera vuoi dire: perché anche noi possiamo diventare dei "paracliti" per quelli che si trovano in qualsiasi genere di afflizione consolandoli, non dicendo loro buone parole, come si usa fare, vedrai che tutto andrà bene, no, consolandoli con la stessa consolazione con la quale siamo consolati noi stessi da Dio). Il che vuol dire che quando un cristiano spirituale, che vive profondamente la sua fede, accarezza un malato, è Dio che lo sta accarezzando, è Dio il paraclito primo che in Gesù si è fatto primo paraclito umano, ha preso un volto umano, poi ha mandato il paraclito, lo Spirito Santo il quale però non ha mani per accarezzare, non ha piedi, ha bisogno dei nostri. E noi siamo paracliti.
Ecco una splendida vocazione per i diaconi: consolatori, essere consolati dalla moglie per poi consolare tutti gli altri. Questo motivo pneumatologico fa sì che le azioni di servizio rese da un cristiano maturo, non sono solo più azioni umane, sociologiche, sono di un piano diverso. Se no che bisogno ci sarebbe di essere ordinati diaconi, basterebbe anche uno che ha lo spirito di servizio. Questa affinità tra il diaconato e lo Spirito Santo è messa in luce in diversi modi nella Scrittura: tutti i carismi sono destinati alla diaconia. Dirà San Pietro che tutti i carismi sono dati per l'utilità comune e anche San Paolo parlerà dei carismi dicendo che devono servire al bene comune, cioè all'utilità comune. Poi San Paolo chiama Cristo stesso «diacono del suo popolo nello spirito». Lì Paolo sta tracciando il modello di una comunità in cui ognuno serve l'altro e Cristo è il modello. Un carisma è chiamato precisamente il carisma della diaconia.

Affinché la comunità cresca
«Chi ha un ministero, eserciti un ministero» (questa è la traduzione che abbiamo in mente noi) però alla lettera, nel testo greco, sarebbe «chi ha un diaconato eserciti un diaconato», «chi ha una diaconia, eserciti la diaconia». E però fa parte sempre dell'ambito dei carismi. Nella lettera agli Efesini (4-12) leggiamo: «I carismi sono dati per rendere idonei i fratelli a compiere la diaconia», a compiere il servizio. Dunque vedete che c'è una parentela strettissima tra l'opera dello Spirito Santo e questo carisma come tutti i carismi. Anche qui si possono fare delle riflessioni a più ampio raggio. Il diaconato cristiano non può rimanere fuori dell'ondata di Pentecoste nuova che c'è nella chiesa a costo di ridursi a un servizio sociologico. Il diaconato deve recepire questo flusso di Pentecoste che passa perché, essendo un carisma, ha senso se vive nel soffio dello Spirito.
Questo è per tutti: fra poco dovrò parlare a quattromila sacerdoti e i relativi vescovi delle Filippine ma dirò anche lì questo. Tutto oggi dipende se ci apriamo alla grazia della nuova Pentecoste, ma qualcuno a questo punto si inalbera specialmente se è teologo, dicendo: se metti in enfasi lo Spirito Santo metti in ombra Cristo. Ci vuole molta ignoranza e ingenuità per dire una cosa del genere perché più si insiste sullo Spirito Santo e più si insiste su Gesù: è lo Spirito che rende presente Gesù. lo ho fatto un'esperienza personale: mi occupavo di cristologia, era la mia materia, avevo fatto una tesi sulla cristologia di Tertulliano, apparentemente sapevo quasi tutto sulla cristologia. Poi un giorno ho scoperto che c'era un altro Gesù, vivo, vero, non un insieme di dottrine, di dogmi o di eresie. Ed è proprio questo Gesù che si scopre nella luce dello Spirito Santo.


Le armoniche del servizio
Adesso io avrei finito la prima parte e vorrei passare ad una seconda, diciamo, più pratica, non spicciola ma pratica. Vorrei parlarvi delle armoniche del servizio. In musica le armoniche sono quelle note che fanno accordo con una nota fondamentale. Allora vogliamo cercare di vedere quali sono le note, le caratteristiche che devono rifulgere nel servizio cristiano e, a maggior ragione, nel servizio specifico dei diaconi. Queste due armoniche che intendo mettere in luce hanno dei nomi molto familiari: si chiamano umiltà e carità.

Le prime interpretazioni nello Spirito
Bisogna sempre ritornare a San Paolo e non perché siamo all'indomani dell'anno paolino ma perché lui ha dato una sintesi profondissima dei valori cristiani - o se preferite, non lui ma lo Spirito di Gesù. Non facciamo un torto a Paolo come fanno certi studiosi che vedono in lui il fondatore del cristianesimo, al punto che poiché il termine "diacono" si trova spesso in Paolo dicono che sia un concetto paolino, retrodato al Vangelo: «il Figlio dell'Uomo per servire e dare la vita per molti» sarebbe un'idea paolina, ma questo è impossibile: nessun uomo avrebbe potuto dire le cose che ha detto Paolo, a distanza di almeno trent'anni dagli avvenimenti, se non ci fosse stata dall'alto un'ispirazione sovrumana, divina perché la sintesi che ha fatto lui, la sua intuizione di dire che lo stato dell'umanità che ha descritto all'inizio della lettera come finito, perduto sia cambiato, ecco per avere il coraggio di dire una cosa del genere, non basta un uomo.
Allora San Paolo in una prima parte della lettera ai Romani stabilisce principi, (quello che eravamo per il peccato, quello che ha fatto Gesù, ci ha liberati, ci ha dato la vita nuova dello Spirito) poi nella seconda parte chiamata "Parenesi" dice quali sono le conclusioni pratiche e il suo progetto è di tracciare il modello di una comunità cristiana dove tutti i carismi sono ministeri cioè dove c'è una armonia perfetta tra la prestazione della persona, il servizio che rende e la grazia, il carisma ricevuto. Ed è curioso che questa presentazione dei carismi. Questa visione di una comunità carismatica e ministeriale è incastonata tra due raccomandazioni: all'umiltà e alla carità. «Per grazia che mi è stata concessa io dico a ciascuno di voi non valutatevi più di quanto è conveniente valutarsi ma valutatevi in maniera di avere di voi una giusta valutazione, secondo la misura» (sobrietà, umiltà).

Quale nesso tra umiltà e carità?
Ci tornerà più tardi dicendo (versetto 13) «abbiate gli stessi sentimenti gli uni verso gli altri e non aspirate a cose troppo alte, piegatevi invece a quelle umili». Quindi c'è una raccomandazione all'umiltà. E poi subito dopo parla della carità: «La carità non abbia finzioni, fuggite il male». Stessa cosa è nella lettera ai Filippesi in quel famoso inno dove Paolo prima traccia alcuni modelli, alcuni atteggiamenti che devono esserci nella comunità e poi dice dove bisogna attingerli. «Se c'è pertanto qualche consolazione in Cristo, se c'è conforto derivante dalla carità, se c'è qualche comunanza di spirito, se ci sono sentimenti di amore e di compassione rendete umiltà piena la mia gioia con l'unione dei vostri spiriti». Ecco questo lo sta dicendo a noi, adesso, Paolo. Una volta citai questo testo alla Casa Pontificia, col Papa di fianco e i cardinali davanti e ho avuto il coraggio di dire adesso il Papa mi permetta di parlare a nome suo alla curia romana; e ho letto questo testo. Allora era il Papa Giovanni Paolo II che diceva ai suoi collaboratori non fate nulla per spirito di vanità, di vanagloria, ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a sé stesso, senza cercare il proprio interesse ma anche quello degli altri. Il Papa era commosso alla fine e mi ha detto: «Segretario oggi mi ha fatto commuovere!» Perché erano veramente i suoi sentimenti. Ma adesso questi sentimenti li diciamo anche per noi, no? Allora parliamo di queste due virtù come devono risplender nel servizio soprattutto in quello del diacono. L'umiltà, perché un servizio reso con orgoglio non è più, evidentemente, un servizio ma un servirsi degli altri e immediatamente umilia; mentre gli rendi un servizio materiale gli infliggi un'umiliazione spirituale gli togli la dignità, lo rendi schiavo. Anche qui vediamo che cosa è questa benedetta umiltà: è tutto e potrebbe essere anche niente. Cerchiamo allora di capire che cosa è l'umiltà che si richiede a chi vuoi servire perché Gesù dice proprio «Imparate da me che sono il servo tra di voi».

Chi serve male umilia il fratello
Allora un giorno ho fatto un'obiezione a Gesù (lo confesso) dicendogli: «Tu dici imparate da me che sono mite e umile di cuore» ma dov'è Gesù che tu sei umile nel Vangelo? Tu dici «Mi chiamate Signore e Maestro e dite bene, qui c'è più di Salomone, di Abramo, chi di voi mi può accusare di un solo peccato». Ma allora apparentemente Gesù non sembra umile, secondo il nostro standard. Ma come sempre le obiezioni portano poi a capire qualcosa di più. Infatti per me è stata l'occasione per capire quale è l'essenza dell'umiltà. L'essenza dell'umiltà non consiste nel ritenersi piccoli e insignificanti (non valgo niente), perché questo può dipendere anche da una depressione, cattiva immagine di sé etc., non consiste nel proclamarsi insignificanti, piccoli perché potrebbe esserlo per natura, ma consiste nel farsi piccoli per servire gli altri. Ecco la vera umiltà.
Allora il servizio è la forma ultima, chiara e più sicura dell'umiltà perché l'umiltà, quella di Gesù che pur essendo di natura divina si è fatto servo. Allora si capisce che l'umiltà è la virtù divina per eccellenza e Francesco d'Assisi che l'aveva capito non si stanca di ripetere, in molte lettere, «Portate, frati, l'umiltà di Dio». Ci si domanda Dio umile, maestoso, tre volte santo? Sì perché l'umiltà consiste nello scendere, abbassarsi per gli altri, per favorire gli altri. E se c'è uno che scende è Dio perché Dio non può elevarsi. L'orgoglio consiste nell'elevarsi al di sopra di sé ma Dio può salire sopra di sé? Non c'è niente. Allora se Dio fa un movimento minimo sarà sempre di discesa: quando crea il mondo discende, quando ispira la Bibbia discende o accondiscende, quando si incarna discende, sull'altare nell'eucaristia discende. La storia della salvezza è la storia dell'umiliazione di Dio. Ecco l'umiltà vera è quella che Gesù ci presentava in quell'ottica: chi vuoi essere il primo sia l'ultimo, il servitore di tutti. Questa è l'umiltà! Allora voi diaconi avete la possibilità di praticare l'umiltà nella forma più obiettiva, più sicura che è quella di farsi piccoli e soprattutto, dice Paolo, non aspirate alle cose troppo grandi, non aspirate a mansioni di prestigio, piegatevi alle mansioni piccole, umili.

Il pericolo di una parola "positiva"
Sta parlando dei carismi, non aspirate a carismi vistosi, piegatevi ai servizi più semplici perché sono i più sicuri. Io dico che Francesco d'Assisi ha chiamato sorella acqua casta, preziosa e umile perché aveva capito proprio questo, perché l'acqua scende sempre, avete mai visto l'acqua salire? (a meno che non sia pompata!). L'acqua scende, scende finché ha toccato il livello più basso. Ecco questo è il modello dell'umiltà. Oggi tutti dicono servizio: è diventa una parola pericolosamente positiva. Nel mondo pagano era negativa (schiavitù) adesso è diventata di segno opposto ma è pericoloso anche così.

Un servizio inflazionato
Adesso tutti sono di servizio, il carabiniere è di servizio, il commerciante che vi serve la merce è di servizio, è diventata come un'etichetta per dire che uno è utile alla società. Va bene, non squalifichiamo questi servizi che pure sono utili alla comunità, però quello che distingue il servizio cristiano è la motivazione: non per fare soldi ma per la gratuità, per servire gli altri ciò che non fa il commerciante, evidentemente e neppure i cosiddetti ministri. Perché ministri (anche qui abbiamo perso il senso delle parole) ma ministro dell'agricoltura significherebbe, ad esempio, servitore degli agricoltori, ministro dell'industria significherebbe servitore degli industriali, ministro del lavoro servitore dei lavoratori. Servitore, servizio è diventato pericolosamente positivo allora bisogna individuare quale è la caratteristica del servizio cristiano, cosa lo rende diverso: i motivi con cui si fa e uno dei motivi è proprio questo, umiltà, non il denaro ma l'umiltà e l'elevare gli altri, di seguire Gesù.

La carità senza ipocrisie
Diciamo qualcosa anche della seconda armonica: la carità.
Partendo proprio da quella parola di Paolo che ho già letto «la carità non abbia finzioni». Allora chi legge questo capitolo 12 della lettera ai Romani è tentato di mettere questa frase sulla carità insieme a tantissime altre. C'è tutta una serie di raccomandazioni sulla carità; invece questa parola iniziale è la base di tutto. Per capirlo, e voi mi perdonerete, bisogna anche qui andare al testo originale dove la frase è fatta di solo due parole: agape e anupocritos. Agape, voi lo sapete, vuoi dire amore. Bisogna sapere che in lingua greca la "a" all'inizio della parola significa "senza", "privazione" allora anupocritos che cosa significherà? Che la carità deve essere senza ipocrisia. Per Paolo questa è una parola chiave, difatti questo aggettivo anupocritos si trova quasi sempre usato per designare la carità cristiana che deve essere sincera. Cioè la carità del servizio non può essere solo una carità delle mani, deve essere un amore del cuore. La carità per essere autentica deve partire dal cuore, prima della beneficenza ci deve essere la benevolenza. Questo è un punto fermo per San Paolo, una sua intuizione. Quando parla della carità, fateci caso, non parla quasi mai delle opere di carità ma sempre degli atteggiamenti, dei sentimenti che devono accompagnare il far il bene. La carità è paziente, è benigna, non giudica, deve essere sincera, senza ipocrisia perché solo così la carità riflette quella di Dio. Perché Dio ci ha riempiti di bene, ci ha fatto del bene, perché? Per qualche interesse personale? No, perché ci voleva bene, ci vuole bene.
È stato detto che Dio è totalmente altro. Io completerei questa definizione con: Dio è completamente altro nell'amore. L'amore di Dio è tutt'altra cosa. Ed è proprio per avvicinarci a questa carità di Dio che Paolo ci dice che la carità (in particolare per voi che fate i servizi, specialmente ai poveri) occorre che ci sia dentro un sentimento di carità, di misericordia, di consolazione e se non c'è fatevelo prestare da Dio! Perché se nel nostro cuore non lo abbiamo (non possiamo scrivere "produzione propria!" come per certi prodotti, quello può essere per il peccato che è sì produzione propria!) diciamo a Gesù di mettere nel nostro cuore il suo amore perché Lui lo ha e ce lo dà.

Non per vergogna o rimorso
Ma si può fare la carità delle mani per tantissimi motivi; molta della carità che noi facciamo ai poveri del terzo mondo non nasce dall'amore ma dal rimorso di coscienza, da vergogna, anche se poi ci sono motivi ancora peggiori quali il sembrare benefattori facendo grandi offerte (lo fanno anche i mafiosi ma si sa bene per che cosa). San Paolo ci dice che la carità deve partire dal cuore, allora sì che un atto di carità, anche il più piccolo, come dare un bicchiere d'acqua a un povero, ha un valore divino, è Dio che lo sta dando attraverso di te.
Potremmo, per essere ancora più concreti, cercare di fare degli esempi: che cosa si oppone a questa diaconia delineata così ad imitazione di Cristo. Per esempio un atteggiamento contrario è l'autoritarismo, il far pesare la propria autorità; forse questo rischio è meno grave nei diaconi ma di più nei gradi superiori della gerarchia tanto che Paolo ha sentito il bisogno di dire «noi non vogliamo essere padroni della vostra fede ma collaboratori della vostra gioia». E San Pietro raccomanda agli anziani non spadroneggiate. E questo perché per ogni ministero c'è il pericolo di trasformarlo in potere, come quello che Gesù denuncia, cioè coloro che sono grandi si fanno servire o fanno pesare il loro servizio.

Reso a Cristo
Un'ultima raccomandazione, direi, proprio una sintesi del servizio diaconale a voi affidato e cioè quello di essere l'esempio o l'Epifania di una chiesa diaconale, di una chiesa compassionevole, di una chiesa che serve, non che si serve, ma che serve il mondo, di una chiesa vicina. Voi avete molte occasioni, forse più che i sacerdoti, di rendere a Gesù questo servizio, di far sentire la sua vicinanza come era quando era vivo, che sentiva compassione, che si avvicinava a chi soffriva. Per esempio, è delicatissimo che una famiglia in occasione di un funerale senta la chiesa vicina. Non succeda che il parroco, al momento del funerale, non sappia il nome del defunto. Allora voi potete fare il tramite, il far presente la chiesa in situazioni di dolore, di malattia; non insisto sui poveri perché forse ne avete già parlato ma certamente con loro tutto deve essere potenziato perché sono già svantaggiati nella vita. Il servizio fatto ai poveri, poi, ha la caratteristica di essere fatto direttamente a Gesù «lo avete fatto a me».
Voglio leggervi un teso del defunto cardinal Van Thuan, un sant'uomo, cardinale vietnamita che è stato prigioniero tredici anni nelle prigioni del regime comunista. Durane gli esercizi che lui tenne in vaticano nel 2000, nell'anno giubilare, disse delle parole che vi affido perché voi le realizziate nel vostro ministero diaconale: «Sogno una chiesa che sia una porta aperta, una porta santa, che accoglie tutti, piena di comprensione e di compassione per le pene e le sofferenze dell'umanità, tutta protesa a consolarla». Che questo sia anche il servizio che voi rendete a Gesù e al mondo.

(R. Cantalamessa è predicatore della Casa Pontificia)

La presente trascrizione non è stata rivista dall'autore



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