Il diaconato: discernimento, formazione...




Atti del XXII Convegno Nazionale
3-6 Agosto 2009



Il diaconato: discernimento, formazione e stati di vita
Giuseppe Bellia




Il tema che mi è stato assegnato è stato oggetto di diversi studi e riflessioni e ne conosciamo già vari punti di vista. È stato anche scritto molto al riguardo: solo in materia di discernimento chi vi parla ha già pubblicato con le Edizioni San Lorenzo un testo che ha avuto un certo esito sul "discernere oggi", e non sono mancate riflessione sulla nostra Rivista (per inciso, ho visto che sono andati a ruba i numeri qui in omaggio, ma se ci fossero anche dei nuovi abbonamenti sarebbe anche meglio, visto che comincia ad essere apprezzata anche fuori dal nostro territorio nazionale). Dunque vorrei trattare questi temi attraverso un riferimento prevalentemente biblico. Non aspettatevi dei precetti allora, piuttosto dei luoghi di confronto.
La vita ministeriale come la vita cristiana è governata dal futuro. Questo è il punto di partenza. Per noi cristiani la vita ha senso perché guardiamo avanti non per uno sciatto ottimismo, per ingenuità, inesperienza, ma solo a motivo della profezia, in quanto, tutte le realtà che viviamo sono realtà penultime in ordine a una sola realtà ultima che è l'incontro con Cristo. Già qui avete criteri in abbondanza di discernimento, di formazione e sugli stati di vita. Per esempio, per voi sposati il matrimonio, che è sacramento, è realtà penultima rispetto all'incontro con Cristo perché nel regno di Dio né ci si mariterà né ci si ammoglierà. Bisogna mantenere un punto di riferimento autorevole, oggettivo, che è la Scrittura; questa ci permette di guardare dentro le pieghe più scure del nostro passato e del nostro cuore.

Il destinatario e il suo contesto
Ma prima di inoltrarci in questo campo bisogna puntare l'attenzione sui destinatari di questa riflessione e cioè voi diaconi. Che cosa è il diaconato o più puntualmente che cosa è "diaconia" nella chiesa? Sembrerebbe scontato ma, consentitemi, non è così, innanzitutto per una ragione storica, evolutiva. Quando avete cominciato il cammino diaconale avevate una certa idea del diaconato. Quando poi siete entrati in formazione e avete imparato a conoscere più da vicino la chiesa, ne avevate già un'altra idea. Quando poi siete stati introdotti nel ministero, un'altra ancora. E oggi che idea avete della diaconia? Non è certo la stessa degli inizi, c'è stato un cammino, un'evoluzione o un'involuzione. Si possono fare passi indietro, per esempio come è accaduto con il dono del Concilio; non è detto che tutto quello che è fatto successivamente, per il solo fatto che viene dopo, sia meglio. Allora se dovessimo considerare complessivamente che cosa è la diaconia, oggi siamo davanti a una piccola rivoluzione che non sempre è stata avvertita ma che è sicuramente chiara per alcuni. Vi informo (se qualcuno di voi è abbonato alla rivista lo sa) che è uscito un numero monografico della rivista ufficiale della Congregazione dell'educazione cattolica, Seminarium, dedicato interamente al diaconato. Tra questi articoli ci sono dei nuovi punti di vista che soltanto nel 2000 si faceva fatica ad accettare durante l'Anno Santo. Per esempio: contrariamente a quello che per inerzia di studio si è sempre affermato, i diaconi nella Scrittura non sono i servi delle mense. Vi pare cosa da poco scoprire cosa era in origine la diaconia e il diaconato? I diaconi fin da principio sono dei "portaparola", dei messaggeri.

Servi o angeli?
Questo cambierebbe radicalmente l'idea che essendo servi delle mense i diaconi sono adibiti al formulario liturgico, cioè una sorta di manovalanza spirituale. In questa vecchia formula se non si ha intelligenza profetica si rischia di fare serie A e serie B.
Dunque ci si spinge a capire come mai nei secoli successivi si è passati da un diacono che è un "portaparola", un messaggero, un annunciatore, al diacono ministro della carità. I passaggi non sono ovvi e non sono stati così immediati; è accaduto che rispetto alla comprensione del giudaismo ellenistico è intervenuta, con forza, la figura, la presenza, l'azione di Gesù. Dal punto di vista storico, salvifico, la sua Pasqua. Dal punto di vista concreto la sua eucaristia ha portato, in qualche modo, i ministri della Parola ad essere anche ministri della carità. È proprio una rivoluzione nel modo di impostare il problema perché emerge la centralità dell'azione dello Spirito all'interno della chiesa... I diaconi non sono usciti dalla manica di Gesù, anzi la chiesa di Gerusalemme non era affatto organizzata attorno ai diaconi ma prevedeva, come sapete, la figura del fratello del Signore, dunque non era nemmeno uno dei dodici, piuttosto una struttura parentale.

Ruoli ad intra e ad extra
E le polemiche erano notevoli: guardate Marco come tratta questa parentela, e Giovanni e anche Luca che tira in salvo solo Maria da questa visione; mentre la chiesa di Antiochia era strutturata attorno all'apostolo e ai suoi collaboratori, tutti diaconi. Sarà uno di questi suoi collaboratori, chiamato "episcopo", che prenderà il ruolo dell'apostolo; nel frattempo ci sarà la distruzione di Gerusalemme, e l'arrivo della comunità giacobita gerusolimitana ad Antiochia permetterà a queste comunità il superamento di molte resistenze fino a strutturarsi secondo quella mirabile formula che prevarrà lentamente nella chiesa: il posto dell'apostolo viene preso da uno dei diaconi, i presbiteri che si sono rifugiati ad Antiochia assumono un ruolo interno (quello che noi oggi potremmo dire di confessori o padri spirituali), mentre i diaconi persistono nel loro atteggiamento missionario e di relazione all'esterno.
Questa struttura trova nell'immagine lucana di Gesù una speculare regola che non sarà soltanto esemplificativa ma diventerà normativa - anche se con molta lentezza - all'interno della chiesa. Da questo emerge il primato dello Spirito Santo; del resto il libro di Luca si chiama "atti di apostolo" e non "degli apostoli", non c'è la declinazione dell'articolo perché questi apostoli sono nient'altro che strumenti dello Spirito. Da tutto questo deriva che la chiesa, sposa fedele di Cristo, in ogni tempo può avere risorse di grazia e sapienza per adattare la struttura ministeriale, cioè di mediazione, di servizio, ai suoi destinatari. Lo ha fatto in passato, nella pace e con calma potrebbe continuare a farlo anche oggi. Ora capite perché questa affermazione è carica di speranza. Lo avete sentito anche nella lettera del vescovo Mario Crociata: la visibilità del diaconato è oggi, diciamolo francamente, pressoché nulla. Si deve forse inseguire il mondo per essere visibili? Meglio di no... visto gli esempi che il mondo ci dà! Rimane allora la visibilità dell'autolesionismo che si compiace della sofferenza? O l'invisibilità dell'anonimato. Tutto ciò non avrebbe senso, perché il ministero è per sua natura visibile in quanto fa parte dell'ordine dei segni, dunque dei sacramenti: un sacramento invisibile non è un sacramento. Quindi il futuro del diaconato non può essere consegnato né all'esperienza del passato e nemmeno a quello che di recente è accaduto e sta accadendo. Ci può essere dentro la chiesa, santa e cattolica, un sussulto di grazia che orienti verso destinazioni e funzioni diverse, più santificanti e consolanti. Allora è importante sapere che queste percezioni del ministero, presenti in più di una rivista ufficiale della chiesa, ci dicono quanti passi sono stati fatti avanti, al di là•di ogni apparenza.

Come si arriva all'esercizio della carità?
Ancora una riflessione: se i diaconi non sono originariamente e costitutivamente ministri delle mense, significa che bisogna non solo fare opera di archeologia e scoprire che cosa erano in principio, ma bisogna anche capire quel meccanismo che poi è diventato strutturante nella chiesa, per cui un ministro della parola, restando ministro della parola, attraverso la liturgia eucaristica e la messa domenicale, diventa ministro della carità. Questo processo diventa vincolante per ogni diacono.

Parola, eucaristia, fraternità
Da questo punto di partenza abbiamo un panorama sufficiente per capire il discernimento. Ha senso che un diacono sia attratto solo (caso raro oggi) dai poveri e dagli ultimi e poi non ami né lo studio, né la parola di Dio, perché per lui il fare è l'unico principio? Ci sono poi quanti hanno avuto un forte impatto... con le sacrestie, le cerimonie, gli abiti. Si sperava che i diaconi riuscissero a sottrarsi a questa tendenza che purtroppo sta segnando il clero giovane. E invece sembra che si faccia a gara nel peggio. Allora il discernimento: una vocazione, una formazione e un'assegnazione deve avere a che fare con questi tre elementi: il primato della Parola, la centralità dell'eucaristia, la destinazione verso la missione e la fraternità.
La stessa formazione ha visto prevalere una dimensione medio-borghese spesso equiparata agli insegnanti di religione. Anche se gli studi teologici e gli istituti superiori più attrezzati tolgono un po' di materie "inutili" e ne mettono altre che hanno più attinenza col ministero, di fatto sta prevalendo una formazione di tipo didattico. Questo è un problema che riguarda anche la formazione dei presbiteri: si discute in molte diocesi per il sesto anno di pastorale, ma non è certo un anno in più con materie più attinenti che si risolve il problema anche perché un certo tipo di pastorale coincide col prassismo, mentre la teologia pastorale dovrebbe essere qualcosa di molto più impegnativo. Tornando al nostro tema: la vita cristiana, e dunque la via ministeriale, è governata dal futuro. Ma dire futuro significa "attesa" ed è proprio in questo intervallo tra l'io pensante e ciò che si aspetta che si situa tutta l'avventura della fede.

Aspettative da orientare
Nel vangelo di Giovanni, c'è un'espressione molto forte: Gesù chiede ai suoi, mentre le folle erano lì affamate, «come possiamo dare da mangiare?». Ma, dice Giovanni, Lui sapeva quello che stava per fare. C'è un intervallo tra ciò che Dio compie e ciò che noi vorremmo compiere. Il salmista dice «manifesta al Signore le tue vie, Lui compirà la sua opera, l'opera di Dio». Noi ci spingiamo da una parte e dall'altra pensando di fare cose utili, poi basta un insulto a farci deviare dai nostri propositi, un complimento ci dà le ali, ma non arriviamo neanche al tetto! L'attesa riguarda il futuro. Ma in realtà noi aspettiamo qualcosa? Che cosa aspettiamo? C'è attesa di qualcosa? Forse dovremmo dire c'è attesa di qualcuno? Qual è il futuro di un orizzonte diaconale? Riuscire a indossare la dalmatica? Fare l'omelia? Fare tanto del bene? Pensateci, che cos'è il futuro che ci viene chiesto?

Incontrare Cristo è l'unica meta
Il ministero cristiano ci spinge a fare delle operazioni di discernimento. Si potrebbe dire con una domanda di immediata comprensione: sapete distinguere il quadro dalla cornice? Cosa è più importante il quadro o la cornice? Certe volte ci sono delle "croste" con cornici bellissime. Spesso noi scambiamo la destinazione di un ministero con la sua cornice che è il luogo dove siamo messi, le cose che ci vengono chieste, il riverbero che questa funzione e questi incarichi possono avere. Il quadro, invece, è un altro. E questo vale per diaconi, presbiteri, vescovi, papi, tutti. Allora se il quadro è incontrare Cristo, ogni vocazione si decide proprio nell'incontro con Cristo. È così anche nel matrimonio cristiano. L'unità non è data dall'antropologia di base: siccome due stanno bene insieme allora c'è di mezzo il sacramento. Non è così. Per noi cristiani è al contrario: siccome i due cristiani hanno conosciuto Cristo, si uniscono in Lui: in Cristo l'uomo non può separare ciò che Dio ha congiunto. E nel caso in cui nel matrimonio solo uno dei due è radicato in Cristo, basta quel radicamento a reggere l'unione. Questo vale anche nei tre gradi dell'unico sacramento dell'ordine. La cosa più importante è incontrare Lui.
C'è un fatto che è ricorrente nei Vangeli: l'affermazione «io sono il pane» non vuoi dire semplicemente che lì, nell'Eucaristica, è veramente presente il Signore, ma ancora di più, che Lui è questo, cioè che il pane è Lui, l'eucaristia è persona. Da questo deriva allora un rapporto diverso con l'eucaristia, non sigillarla nelle "quaranta ore" o in qualunque pratica del Corpus Domini, ma entrare in una relazione viva con Cristo. Questa relazione si costruisce attraverso gli elementi ben noti del primato della Parola, l'eucaristia, la Chiesa, la destinazione ai poveri, la fraternità. Dunque se c'è differenza tra quadro e cornice, bisogna anche aggiungere che tra le due cose esiste una dialettica. Non si dà una cornice sproporzionata a un quadro grandioso ma se il quadro è meschino, se il quadro è l'autopromozione di qualcuno che umanamente aspira al diaconato perché è una rivincita, una rivalsa su sé stesso o sul proprio ambiente, a che vale la cornice? (parlo ai diaconi ma per noi preti è anche peggio, in uno degli ultimi, scritti il cardinal Martini metteva in evidenza quanto sia diventata imperante l'autocensura in vista di un'autopromozione). Il punto di riferimento nel quarto Vangelo è al capitolo 12,26: «Se uno mi vuoi servire mi segua». Il primato è dato alla sequela, non al fare qualcosa per lui, e Matteo sia alla fine del capitolo 7 delle Beatitudini, sia nel mirabile capitolo 25 presenta alcuni che hanno fatto, strafatto per Lui, che però risponde: «Andate via operatori di iniquità». Dunque c'è il rischio che si possa servire senza seguire. O che si possa servire senza avere più alcuna attesa.

Come custodire i sogni?
Se noi siamo proiettati verso il futuro, se ha un senso custodire i sogni perché Dio li porterà a compimento, come discernere i tempi e i modi? Forse Giuseppe, interprete dei sogni, poteva immaginare che lui sarebbe stato il pegno di salvezza per tutta la sua famiglia, il perduto che salva, lo schiavo che libera? Pensate al mistero che viene raccontato in Matteo 25 «Ero malato e mi avete visitato». Di grande effetto, sicuramente, ma chi è che visita e chi è il visitato? Come fa a essere lui il visitato se era il medico? Qual è il senso? Lui è insieme medico e malato? E potremmo ancora dire: Lui è contestualmente il pane che sazia e l'affamato da saziare. C'è tutto un aspetto del ministero che andrebbe riletto perché noi ci consideriamo sempre coloro che vanno a saziare: siamo anche coloro che devono essere saziati!

Con gli occhi di un bambino
Andiamo ancora avanti: quali sono le caratteristiche che contraddistinguono il sogno e dunque l'attesa? Sostanzialmente sono due e si situano tra futuro e passato. Più esattamente guardando i testi sapienziali e i Vangeli, quando Dio entra nelle nostre esistenze emerge lo stupore: è uno dei tratti tipici che ci dice di essere di fronte a una realtà soprannaturale. Ci viene raccontato in Marco 10,32, più letteralmente: «Ed erano per la strada che salivano a Gerusalemme e Gesù camminava davanti a loro ed essi erano stupiti, coloro che venivano dietro erano pieni di timore». Il rendimento di grazie è l'affiorare dello stupore: quando noi incontriamo Dio c'è una meraviglia che ci prende e si traduce in un "dire grazie". Se avete figli sapete come è consolante sentirsi ringraziati veramente da loro. Il rendimento di grazie si unisce a un atteggiamento penitente cioè di realismo conoscitivo per cui sappiamo chi siamo noi e chi è lui, chi siamo, davanti a chi.

Frutto di parole ascoltate
Questi due elementi, penitenza e rendimento di grazie, sono legati alla memoria: è questo il primo tratto dell'attesa cristiana. La memoria è fondamentale: «un popolo che non ha memoria va in rovina». Le ultime parole di Gesù sono quelle che noi diciamo in ogni Messa «fate questo in memoria di me». Il Deuteronomio è basato tutto sulla memoria (ricorda, ricorda, ricorda). Perché se il futuro governa la nostra vita, i nostri piedi stanno in terra. Dobbiamo sapere da dove veniamo e da chi siamo stati generati. Nel Libro dei Numeri ci sono capitoli interi di nomi su nomi che descrivono esattamente la modalità e il luogo in cui noi dovremmo essere nella chiesa. Da chi siamo stati generati? Ognuno di voi deve ricordare qualcuno che nella vostra storia diaconale sia stato luogo di mediazione e di incontro. Questa ripresa della memoria è fondamentale. Accanto alla memoria c'è il desiderio e le due cose si intrecciano. Secondo un'antropologia biblica, noi non siamo esseri desideranti in senso stretto, perché il desiderio non è in principio. Si potrebbe dire che ogni azione è preceduta da un'attività desiderante, che è a sua volta spinta da un pensiero, ma in principio non è neppure il pensiero bensì una parola. Tutte le nostre azioni sono frutto di parole ascoltate. Quando Cristo è tentato, non dialoga con i pensieri ma semplicemente ricorda la Parola «Sta scritto, sta scritto, è stato scritto». Rimettere dentro il cuore la Parola impedisce al peccato di compiere la sua corsa. Il peccato è un'azione frutto di un desiderio che viene da un pensiero che a sua volta è frutto di una parola accettata. Maria, la Santissima, custodiva la Parola di Dio e da questa era custodita. E Luca ci dice che certe parole, che non capiva, le ha custodite fino alla Croce.
Tra passato e futuro emerge la provvisorietà del nostro esistere e questi due elementi, memoria e desiderio, si intrecciano. Se la memoria di ciò che Dio ha fatto nelle nostre esistenze si traduce in richiesta di perdono e rendimento di grazie, allora il desiderio si traduce in quella vigile prontezza che ci spinge, di volta in volta, a capire che cosa sta accadendo. Il primo dato che emerge dal punto di vista biblico, quando si ha a che fare con il passato e la memoria, è l'uscita dall'Egitto, e quindi il deserto e l'ingresso nella terra promessa. Ma oggi chi vuole uscire dall'Egitto? Quando c'è pane e carne in abbondanza, il benessere: siamo schiavi, sì, ma non ci pesa. Dov'è oggi la chiesa italiana in questo tempo di scandali, dove la ricerca di sicurezza prevale su qualunque altro valore sociale. E oggi la profezia che annuncia lo sconvolgimento dell'ordine esistente, dov'è, che ruolo ha?

L'uscita dall'Egitto non è ancora libertà
L'uscita dall'Egitto coincide con l'ingresso nella libertà ma non è ancora la libertà. Questo popolo uscito dall'Egitto viene saziato come un bambino e sfamato. Fa parte di questo atteggiamento paterno e protettivo di Dio anche il dono della legge. Potremmo dire, con Paolo, che le leggi si danno innanzitutto ai bambini, che non sanno distinguere il pulito dallo sporco, ciò che arreca danno da ciò che invece nutre etc. Oggi abbiamo perso questa chiarezza persino nel linguaggio con cui vediamo giustificare di tutto. Si tratta di capire che senza uscita dall'Egitto non si può avere nessun discernimento, nessuna formazione e lo stato di vita lascerà a desiderare. Questo è un elemento essenziale. È diverso il peccato che si compie nel deserto, da liberi, dal peccato che si compie da schiavi. Se io so che cosa è bene e cosa è male e dico «ho peccato», posso rialzarmi. Il Signore guarda chiunque è caduto. Ben altra cosa è l'arroganza degli empi, il vanto. Se una persona sbaglia, dobbiamo consegnare la misericordia: ci è stata data; ma come tollerare l'esibizione del peccato con quella tracotanza che invita alla complicità e alla connivenza? E queste cose pesano al popolo di Dio. Quante sono le coppie irregolari oggi in Italia che non si possono accostare all'eucaristia? Cosa diciamo loro? Spesso sono poveri che ne rimangono profondamente scandalizzati. Ma se la verità va detta, non c'è una verità per i deboli ed una per i potenti!

Frutto di parole credute
Allora - secondo elemento - se l'incontro con Dio coincide con l'alleanza, Dio si fa precedere dai suoi doni: dona la libertà, dona la terra, dona la manna, dona l'acqua. Questi doni che il Signore fa sono parte integrante dell'educazione della memoria; non solo ci ha liberati dall'Egitto ma ci ha immessi in una terra gravida di tentazioni, che è il deserto: ci fa adulti. È interessante come la tradizione giudaica ci racconta del miracolo del Mar Rosso: non si aprì quando Mosè toccò con la verga l'acqua ma quando il primo degli israeliti si fidò della sua parola e mise il piede in acqua. E ancora, il grande profeta Elia: decise di morire perché... come andare nel deserto? Lì i suoi padri furono tentati e morirono, e lui era forse migliore di loro? Allora Dio lo nutrì e camminò quaranta giorni e quaranta notti.
E quando capì che Dio non era nel fuoco, nel vento, nel terremoto, disse: «Sono rimasto solo io». E la risposta: «Me ne sono conservato undicimila che non si sono piegati, tu non li conosci». Così è la chiesa santa di Dio: per grazia ce ne sono più di «undicimila» che non si sono piegati e non si piegano. Attorno a noi esistono esempi di santità e di sapienza, non stupitevi se non sono riconosciuti da tutti ma pensate solo alla nostra chiesa italiana che ha avuto una stagione di profeti come poche altre. Da Mazzolari a Milani, da Dossetti a La Pira. E non sempre sono quelli che hanno avuto un esito celebrativo.

Educare al desiderio
Allora focalizziamo questi tre elementi essenziali. Esiste un'educazione del desiderio che ci spinge verso il futuro dell'incontro ultimo e definitivo con Cristo e in Dio. Il desiderio all'incontro si educa perché l'incontro con Dio non è tutto demandato alla fine dei tempi, ma accade qui e ora quando lo incontriamo nella sua parola. Andare a messa col desiderio positivo: che cosa mi dirà oggi il Signore, su che cosa mi vuole illuminare, riprendere, consolare... preghiamo per i preti, ché il Signore li illumini nella spiegazione delle Scritture!
Se dunque il primo luogo di incontro e di educazione è la Parola, non si ha discernimento senza Parola di Dio. E negli stati di vita forse che agli sposati e ai celibi è richiesto di abbeverarsi a fonti diverse? In Matteo capitolo 13 alla conclusione delle parabole c'è scritto «Ogni scriba è diventato discepolo». Per la comunità di Matteo è impossibile diventare discepoli se prima non si è scribi, conoscitori della Parola di Dio. Questo non significa che tutti devono avere una completa conoscenza dal punto di vista esegetico o dell'analisi retorica dei testi ma il desiderio di conoscere la Parola di Dio non può venire meno. Quando si va in mezzo ai poveri, veramente poveri, loro manifestano un desiderio grandissimo di conoscere la Parola di Dio, che non può essere liquidato con un sottoprodotto moralistico o una preghierina edulcorata. Chi pensa che può affrancarsi dallo studio perché ha chissà quale carisma si inganna e viceversa chi dovesse solo consegnarsi allo studio senza preghiera vive un'aridità senza sbocco, insopportabile. Dunque non c'è un ministero della Parola di serie B e il vertice non è l'omelia, perché la diaconia della parola si esercita attraverso i tre gradi fondamentali che sono l'annuncio, la catechesi e la didascalia.
Vi ricordate Filippo, l'eunuco etiope: se ci viene raccontato un fatto così, vuoi dire che agli occhi di Dio ciò è infinitamente di più di tante altre gesta. Pietro e Giovanni si stupiscono di quello che un solo diacono ha fatto in Samaria: loro sono sempre a pregare dentro il tempio, vivono di giorno da ebrei e di sera da cristiani e invece la Parola di Dio corre e non segue i ritmi dei capi. Loro piuttosto arrivano in ritardo, Pietro più di una volta non riesce a comprendere il primato dello Spirito che lo precede. Finalmente sembra che di fronte Cornelio capisca: «Posso io fare differenza di persone quando lo Spirito mi precede?».

Il posto dell'eucaristia domenicale
Se il primo elemento è quello dell'ascolto, l'elemento centrale dell'incontro con Cristo è l'eucaristia più esattamente l'eucaristia domenicale. Tutti conosciamo quella bellissima frase del Concilio dove si dice che la liturgia e poi l'eucaristia è fons et culmen totius vitae ecclesiae, fonte, scaturigine e compimento. Ma dobbiamo fare attenzione a come la interpretiamo: l'eucaristia è contestualmente, inseparabilmente principio e fine, alfa e omega, fonte e culmine, non diventa culmine quando noi con il nostro esempio, la nostra attività, il nostro apostolato, riusciamo a fare qualcosa: è già tutto lì, tutto compiuto.

Nessun sacramento è finalizzato a un altro
Questo dà una dimensione diversa alla diaconia ministeriale di tutti, vescovi, presbiteri, diaconi perché si incontra Cristo nella sua pienezza proprio nell'eucaristia che non è un sublime atto devoto. È invalsa la prassi di molte persone che vengono a confessarsi perché devono fare la comunione. Il primo peccato che dicono è: non mi sono confessato da un mese. L'idea di fondo è che il sacramento della confessione non è in sé ma finalizzato ad un altro sacramento. Non è così: si chiama "riconciliazione" perché in quel sacramento si consuma, si celebra l'incontro, il ritorno, la rappacificazione. Tra marito e moglie se vi riconciliate si ricuce un rapporto, non fate pace perché dovete andare al cinema insieme! Questa ignoranza diffusa dei sacramenti ha portato a molta confusione.
Infine il terzo elemento che educa al desiderio e al sogno: la tensione verso la fraternità. Il Signore risorto chiama i suoi apostoli "fratelli": «vai a dire ai miei fratelli». Non erano scappati tutti?... Il desiderio ultimo è proprio la fraternità. Il Papa ha ribadito più di una volta che bisogna puntare alla fraternità. Dopo essere stati chiamati a vivere il futuro, ora ci viene chiesto di vivere il presente, gli stati di vita, aperti al discernimento della Parola e dei fatti della vita. Non basta infatti una conoscenza astratta della Parola e la vita non ci educa da soli ma come un binario che ha due rotaie: Parola e vita ci educano a capire ciò che Dio vuole. Bisogna essere aperti all'incontro con i fratelli, con l'altro, con il mondo e quindi c'è un impegno per la missione verso gli ultimi.

Per diventare figli di Dio
Gli stati di vita sono una base di partenza ma anche un punto di approdo della vita cristiana. Voi siete già sposati e poi ordinati oppure celibi e dopo ordinati, quindi lo stato di vita non si addiziona all'altro ma il primo in qualche modo determina il secondo e lievita nel secondo. Ecco perché, «siano sposi solo una volta», cioè lo stato di vita essendo governato da Dio, incide sul nostro presente, non noi con le nostre idee e le nostre progettazioni andiamo a Lui. Allora il primato del discepolato rispetto al fare esige un triplice impegno in ordine alla parola, alla domenica, alla fraternità. C'è un livello in cui siamo coinvolti in quanto singoli, in quanto credenti, quando proclamiamo il Credo alla domanda «credete in Dio?» rispondiamo al singolare «credo». C'è poi un livello comunitario, familiare, parrocchiale e c'è un livello liturgico, ecclesiale. Che ne pensate di un diacono che legge la Parola di Dio solo in privato e mai in famiglia e mai in una comunità parrocchiale oppure che legge la Parola di Dio solo in chiesa e mai da solo né a casa o viceversa.
Questi tre livelli andrebbero educati e dovrebbero avere un luogo fondamentale nel discernimento. Preghi a casa tua? Preghi con i tuoi figli? Preghi da solo? Sai pregare con gli altri? Spesso si arriva in seminario o nei luoghi di formazione senza sapere che tipo di storia spirituale c'è. La vita interiore è garanzia dell'agire diaconale. E dunque: a cosa serve tutto questo? Ce lo dice la Parola di Dio: a dare il potere di diventare figli. Noi compiamo la nostra diaconia quando consegniamo agli altri la possibilità di diventare figli del Dio vivente.

(G. Bellia è direttore della rivista "Il diaconato in Italia")



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