Natale del Signore (messa della notte)


ANNO C - 25 dicembre 2009
Natale del Signore (messa della notte)

Is 9,1-3.5-6
Tt 2,11-14
Lc 2,1-14

LA SCELTA DI GIACERE
IN UNA MANGIATOIA

Uno dei dettagli più cari alla tradizione cristiana del Natale è la mangiatoia, luogo dove Maria depose il figlio appena partorito (Lc 2,7). Che l'indicazione lucana non sia frutto di una svista ma di una scelta precisa e consapevole è testimoniato dall'annuncio che gli angeli recano ai pastori. Il termine, piuttosto imbarazzante, è ripetuto con grande solennità nel punto in cui il coro celeste fornisce ai pastori il triplice segno: un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia (Lc 2,12).
L'indecorosa collocazione del Figlio di Dio fa dunque parte integrante dell'evangelo natalizio quasi a contraddistinguere la peculiarità di un evento consumatosi in un luogo di confine tra la vita umana e quella animale. È difficile, infatti, definire con precisione che cosa Luca intenda con il termine greco reso con "mangiatoia". Non dobbiamo intenderlo come una sorta di abbeveratoio in legno o pietra dove l'animale si sfamava e dissetava. L'archeologia suggerisce invece di pensare a quella parte spesso interna alla casa o alla grotta dove si collocava l'animale di notte per evitare che fosse rubato. Il piano riservato all'animale era più basso rispetto a quello abitato dalla famiglia, per cui uomini e animali trascorrevano la notte in locali attigui ma separati da una specie di gradino che impedisse all'animale di varcare la soglia troppo facilmente e creasse una minima separazione tra casa e stalla provvisoria.

Se anche non ci è possibile chiarire bene il termine lucano, è evidente che basta il dettaglio della mangiatoia a rendere tutta la povertà del Natale. Non serve immaginare temperature rigide o altro per rendere la misura della spoliazione del Verbo fatto carne. È come se dal cielo non solo il Figlio di Dio assumesse la forma di uomo, ma addirittura sconfinasse nel regno animale, subumano. Possiamo comprendere il valore teologico e spirituale di questo particolare, se leggiamo la storia biblica a partire da Genesi come imbestiamento dell'uomo. La creatura plasmata a immagine di Dio ha talmente sfigurato se stessa da assomigliare più all'animale che al proprio Creatore. Pensiamo alla pagina che narra il primo omicidio e come il testo descriva il peccato con le sembianze di un animale che è accovacciato alla porta e che deve essere dominato. Ma Caino soccomberà alla forza bestiale dell'invidia che lo domina. Da quel momento il rapporto tra l'uomo e l'animale diviene immagine e figura della sua redenzione o della sua totale corruzione. Noè, uomo giusto, sopravvive al diluvio permettendo anche alle specie animali di perpetuarsi. Egli è veramente custode della creazione di Dio e anticipo delle grandi figure bibliche, spesso presentate non a caso in veste di pastori. Il particolare non va sottovalutato: tutti i grandi chiamati vengono come sorpresi di dietro a un gregge, mentre guidano e custodiscono, piuttosto che costringere e sopprimere. Ma basterebbe ricordare il grande oracolo isaiano, al cap. 11, dove l'epoca messianica è descritta come un tempo in cui animali feroci ed erbivori convivranno insieme e un bambino li guiderà.
Esiste una passionalità animale nell'uomo cui egli cede permettendo al peccato di mettere solide radici. L'uomo non riesce a farne a meno come non può fare a meno del cibo perché, dando soddisfazione alle proprie passioni, ha l'illusione di vincere la morte. Per questo ogni uomo ritorna sempre al proprio peccato, come un animale torna sempre alla propria mangiatoia. Essa esprime allora la condizione umiliante di ciascuno di noi e il rapporto passionale che costruiamo con i doni di Dio, doni che divoriamo e sciupiamo, convinti che possano strapparci dalla finitudine. La mangiatoia, in fondo, è proprio questo: il rimedio con cui ci stordiamo e crediamo di saziare la fame di infinito che ci lacera dentro. Quando siamo depressi, tristi o infelici torniamo inevitabilmente al nostro peccato, alla nostra mangiatoia.

Se è vero che furono proprio i pastori, custodi di animali, i primi ad adorare l'agnello di Dio, è altrettanto vero che l'agnello divino scelse la mangiatoia perché ogni peccatore potesse trovarlo là dove cerca falsa consolazione e falso appagamento. L'Incarnazione non è solo l'assunzione della natura umana ma è l'ultima e definitiva ricerca che Dio compie del peccatore, andando a collocarsi là dove sempre, irrimediabilmente, il peccatore torna. L'incontro con Cristo si avvera proprio nel sacramento del perdono quando, ripensando e ricordando la mia fragilità, trovo non un'accusa colpevolizzante ma l'abbraccio e il perdono del Padre. Proprio là dove si consuma la mia infedeltà, scopro la sublime fedeltà di Dio che non teme la mia vergogna e la mia inconsistenza.
Qui il Natale si congiunge con la Pasqua se pensiamo che la scelta dell'albero della Croce non si allontana da quella della mangiatoia. L'albero è il luogo dove Eva ha teso la mano, credendo di trovare il frutto che l'avrebbe resa simile a Dio. Sempre il peccato è un mimo del gesto che ha spezzato l'alleanza tra Dio e l'uomo, consumazione di un inganno. Chi pecca lo fa perché cerca pienezza di vita. Ma non trova altro che inganno. Così il Figlio di Dio dopo aver scelto la mangiatoia per nascere elegge l'albero della Croce per morire, affinché ogni uomo, tendendo sempre la mano verso l'albero colga lui, Cristo, non come sentenza di condanna, ma come frutto di vita eterna. Di nuovo il Figlio di Dio sceglie il luogo del peccato per tramutarlo in luogo di misericordia, riscatto e salvezza.


VITA PASTORALE N. 10/2009 (commento di Claudio Arletti, parroco di Maranello)




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