«Ho formato alla vita di comunione»

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Diaconato: servizio e comunione
(Gen's – gennaio-aprile 2009, nr.1/2)

INTERVISTA


Preparazione dei candidati al diaconato
intervista a Vincenzo Chiarle
a cura di Aldo Bertinetti


Un’esperienza ben riuscita di formazione dei diaconi nell’archidiocesi di Torino. Don Aldo Bertinetti ha intervistato don Vincenzo Chiarle, il sacerdote che ha lavorato in questo campo per più di trent’anni.

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Nell’anno 1972 sei stato incaricato della formazione spirituale dei diaconi dell’archidiocesi di Torino. Si trattava per te di una cosa nuova. Come hai reagito?

Fu una cosa nuova per me e in quel tempo lo era anche per tutti nella Chiesa. Ho subito letto un libro di don Altana, che era appena uscito, e mi sono confrontato con mons. Pignata, che era stato incaricato come delegato del cardinale nella nostra diocesi.

Avendo capito che un punto essenziale di questo “nuovo” ministero era proprio il saper “vivere e creare comunione”, mi appassionai subito. Pensai che la migliore fonte per questo lavoro potesse essere proprio la spiritualità dell’unità, tipica del Movimento dei focolari, anche perché l’esperienza della mia parrocchia, Vallo Torinese, era così impostata e stava dando notevoli frutti.

L’ideale dell’unità restò poi sempre il punto di riferimento di tutto il mio agire coi diaconi. Mons. Pignata si stupiva che ogni volta offrivo cose nuove: non sapeva che nella maggior parte dei casi attingevo proprio dalla “Parola di Vita”: una frase a senso compiuto della Scrittura con relativo commento che i membri del Movimento dei focolari si impegnano a vivere mese per mese.


«Ordinerò solo uomini di comunione»

Il vostro vescovo di allora, il card. Michele Pellegrino, aveva chiesto ai candidati al diaconato di lasciarsi formare in una spiritualità di comunione, altrimenti non li avrebbe ordinati. Potresti raccontarci come è stata data questa direttiva e come hanno l’hanno presa i candidati al diaconato?

Fu proprio all’inizio del primo corso di formazione, nel ’72 appunto, a Pianezza, sede del diaconato, che il cardinale, rilevando che sovente i preti formati fino allora avevano una spiritualità molto individualistica, affermò con molta chiarezza che chiedeva a coloro che volevano iniziare il corso per il diaconato di avere già subito un’apertura alla visione comunitaria portata dal Concilio Vaticano II. Disse testualmente: “O sarete uomini con spirito comunitario, o non vi ordinerò”.

Furono parole chiare, anche se pronunziate con tanto garbo, come era suo costume.

Questi primi aspiranti furono certamente un po’ sorpresi, dato che tale discorso era nuovo nella Chiesa, ma accettarono di buon grado questa raccomandazione, forse con un po’ curiosità di sperimentare qualcosa che gli stessi preti ancora non avevano.

Come avete iniziato e poi portato avanti tale raccomandazione del vostro vescovo?

Il modello che io avevo davanti, attenendomi alle indicazioni del mio vescovo e consultando altri sacerdoti, e che stavo già vivendo, come accennato prima, mi veniva dalla spiritualità del Focolare.

Ovviamente non si chiedeva ai futuri diaconi di far parte del Movimento, ma si offriva loro la possibilità di far tesoro del carisma dell’unità che nella Chiesa era a disposizione di tutti.

I futuri diaconi accettarono ben volentieri questa proposta di una spiritualità di comunione, perché la trovavano rispondente alle esigenze della Chiesa e del mondo di oggi e ben adatta alla loro vocazione.


Una solida base: la spiritualità dell’unità

Tu hai formato tanti diaconi a Torino e sembra con successo. Potresti descrivere un po’ più ampiamente la linea che hai seguito?

Mi sono basato sempre sui documenti della Chiesa (soprattutto quelli del Concilio), e anche sugli scritti dei Padri, che sono ricchissimi di stimoli alla comunione ecclesiale. In questo modo sono riuscito a far conoscere vitalmente la principali tematiche della spiritualità di comunione – tra cui: Dio come Amore, la volontà di Dio, la Parola di Dio, la presenza di Gesù in ogni prossimo, il comandamento nuovo, il mistero di Gesù crocifisso e risorto, lo Spirito santo, Maria, ecc.

Attraverso la Parola vissuta e poi la conseguente comunione delle esperienze si entrava man mano nella vita concreta e loro scoprivano i vari aspetti concreti nei quali la Parola di Dio si incarna: come la comunione dei beni spirituali e materiali, l’evangelizzazione cioè l’irradiazione con la testimonianza della propria vita, l’unione continua con Dio, la cura della salute fisica e spirituale nostra e degli altri, l’armonia nel vestito, nella casa e nei rapporti sociali, lo studio che diventa sapienza e, per ultimo, la circolazione delle notizie e delle esperienze evangeliche a servizio della comunione fra tutti.

Per i diaconi questa scuola di vita fu una meravigliosa avventura, un vero incontro con un volto avvincente del cristianesimo. Molti diaconi di allora ricordano ancora bene tutte queste scoperte piene di luce.

Proprio per questo, man mano che la nostra esperienza veniva conosciuta, soprattutto in Italia, fui chiamato a tenere molti incontri e conferenze in tante regioni del nostro Paese, dove potei seminare a larghe mani questo metodo.


Il primato del servizio per amore

I diaconi sono essenzialmente uomini della diaconia della Chiesa, a servizio delle comunità cristiane e dell’umanità. Come li hai formati in questa linea?

La sottolineatura principale fin dall’inizio fu proprio il servizio, mettendo in guardia i candidati dal diventare dei “manichini sacri”, evitando un’esagerata tendenza al servizio liturgico visto come fine a se stesso. Di conseguenza si insistette sempre nella vita di comunione tra di loro e con i presbiteri della diocesi.

In questa dimensione, ad esempio, il regolamento che si è scritto per la nostra diocesi – forse unico a questo riguardo – prescrive che i diaconi attuino una forma di cassa comune, cosa che la maggior parte di loro fanno tuttora. Quindi emerse il primato della carità, vissuto in parrocchia, cercando di non cedere a nessuna tentazione di “potere” e distaccandosi in ogni modo dai compensi, dai soldi…

A molti diaconi per questo ancora oggi viene affidato, sia in parrocchia che nelle diocesi, il servizio della Caritas. Naturalmente la figura che emerse subito come riferimento ideale fu quella di Maria imitata nelle sue caratteristiche tipiche: accoglienza, ascolto, azioni concrete, ecc.

Quando fui consultato sulla bozza di quello che doveva diventare il “Direttorio per il ministero e la vita dei diaconi permanenti per la Chiesa universale”, che uscì ad opera della Congregazione del Clero nel ’98, diedi i miei suggerimenti anche su questo punto Ebbi la sorpresa di veder riportato letteralmente un brano proprio su Maria.

Dice: «A Maria guarderà con venerazione e affetto profondo ogni diacono. Infatti la Vergine Madre è stata la creatura che più di tutte ha vissuto la piena verità della vocazione, perché nessuno come Lei ha risposto con un amore così grande all’amore immenso di Dio. Questo amore particolare alla Vergine, Serva del Signore, nato dalla Parola e tutto radicato nella Parola, si farà imitazione della sua vita. Sarà questo un modo per introdurre nella Chiesa quella dimensione mariana che molto si addice alla vocazione del diacono» (n. 57, § 3).

Su mio consiglio fu aggiunta inoltre la frase: «I diaconi, provenienti da associazioni o movimenti ecclesiali, non siano privati delle ricchezze spirituali di tali aggregazioni, nelle quali possono continuare a trovare aiuto e sostegno per la loro missione a servizio della Chiesa particolare» (n. 11).

Tali suggerimenti li avevo spediti anche direttamente all’allora card. Ratzinger, che mi rispose con una bellissima lettera.


Evangelizzare testimoniando con la vita

I diaconi sono chiamati ad evangelizzare. Come li hai preparati a questo aspetto così specifico e centrale del loro ministero?

La sottolineatura qui è sempre stata quella di vivere la Parola prima di annunziarla, in modo che fosse proprio una Parola “di vita”, come san Paolo stesso dice. Per questo si dava molto spazio alla condivisione delle esperienze sulla Parola, sia nei ritiri che nelle convivenze. E si insegnava che, nella predicazione e nella catechesi che i diaconi sarebbero stati chiamati a fare, era importante portare sempre la propria esperienza e quindi non limitarsi ad offrire idee e principi, ma donare le proprie esperienze fatte alla luce della Parola di Dio, anche perché oggi – secondo la nota espressione di Paolo VI – più che i maestri si ascoltano testimoni.

A volte i rapporti tra i diaconi e i parroci sono un po’ difficili. Cosa avete fatto per superare queste difficoltà?

Il problema esiste tuttora. Basti pensare che in Italia sono una ventina le diocesi che avevano instaurato il diaconato e poi successivamente l’hanno sospeso, proprio per i problemi sorti nei rapporti con i parroci.

Da noi abbiamo puntato fin dall’inizio alla comunione da attuare prima di tutto nella famiglia e sul posto di lavoro e poi col presbitero con cui si collaborava, senza nascondere che per far questo è necessario saper “morire a se stessi e alle proprie idee” secondo quel motto così specificamente evangelico: «È meglio il meno perfetto in unità che il più perfetto in disunità».

È stato di grande aiuto in questo senso l’amore a Gesù nel fratello e a Gesù crocifisso e abbandonato, cardine dell’amore autentico. E questo li faceva diventare capaci di creare comunione anche fra le varie componenti della parrocchia come gruppi, associazioni varie e movimenti, “facendo da ponte” anche tra vescovi, sacerdoti e laici.

Una conferma al riguardo ci venne dalle parole di Giovanni Paolo II in occasione del Giubileo dei diaconi (20/2/2002): «Il vostro servizio della carità, come coerente conseguenza del mistero eucaristico, vi porti a vincere l’affaticamento, la frustrazione e l’incomprensione di molti. Vivendo pienamente la comunione ecclesiale e la fraternità diaconale nella vostra diocesi, Gesù vi ristorerà: non perdetevi di coraggio!».

In effetti in tutti questi anni nella nostra diocesi, pur nelle inevitabili difficoltà, non si sono mai creati degli scontri o rotture gravi. E di questo danno atto tutti, per primi i nostri vescovi. Ovviamente anche i parroci sono stimolati a fare questo stesso cammino, essendo tutti chiamati a vivere il cuore del messaggio evangelico, cioè la carità che porta alla più profonda e fraterna comunione.


Il ruolo delle mogli dei diaconi

Abbiamo saputo che nella formazione dei diaconi alla vita di comunione hai tenuto presenti anche le loro mogli. Cosa hai fatto di speciale per loro?

Abbiamo sempre avuto ben chiaro che il sacramento dell’Ordine riguarda solo i mariti, ma la vocazione a questo servizio nella Chiesa coinvolge anche le rispettive famiglie e in primo luogo le mogli. Queste, perfettamente consce dei sacrifici che comporta avere un marito diacono, non solo permettono ad essi di accettare il diaconato, ma si dispongono a collaborare con una vita autenticamente evangelica nella famiglia e nella comunità cristiana. Ciò costituisce un fecondo retroterra per la vita e l’azione dei diaconi.

Anche qui la formula giusta, che ha dato sempre tanto equilibrio e luce, è stata la crescita nella vita di comunione nella coppia. Per questo, almeno da noi, le mogli accompagnano la formazione dei mariti, partecipando ai ritiri e alle convivenze estive, e talvolta a qualche incontro o corso di esercizi fatto apposta per loro. Nel primo biennio è previsto anche un corso di spiritualità familiare tenuto da una persona esperta in questo ambito.

Nel cammino formativo le spose riscoprono la figura di Maria, che vive la Parola e diventa la discepola per eccellenza e il sostegno degli Apostoli.

È vero che tra i diaconi torinesi già partiti per il cielo alcuni hanno lasciato segni di santità?

Parlare di santità in forma ufficiale forse è un po’ forte o quanto meno prematuro… Chissà! Certo tra i diaconi defunti – sono già parecchi in tanti anni – spiccano alcune figure di grande levatura spirituale, soprattutto come esempi di carità vissuta, anche per aver creato comunità di accoglienza e cose simili. Abbiamo fatto una fondazione per l’aiuto alle famiglie diaconali che ha preso il nome proprio da due di questi diaconi esemplari: Gasca e Ferrero.



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