Diaconato: servizio e comunione
(Gen's – gennaio-aprile 2009, nr.1/2)
MAGISTERO
Il 30 settembre 2002 la Commissione teologica internazionale approvò con voto unanime il documento dal titolo "Il diaconato: evoluzione e prospettive", sottoponendolo al suo presidente, l'allora card. J. Ratzinger, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, il quale ne autorizzò la pubblicazione. Si tratta quindi di un documento autorevole che tuttavia non vuole interrompere il lavoro dei teologi sull'argomento e riconosce che l'ultima parola spetta al discernimento magisteriale della Chiesa. Rinviamo per il testo integrale "Il diaconato. Evoluzione e prospettive, Libreria Editrice Vaticana 2003", ne trascriviamo la conclusione che ci sembra particolarmente utile e chiarificatrice.
Dal punto di vista del suo significato teologico e del suo ruolo ecclesiale, il ministero del diaconato costituisce una sfida per la coscienza e la prassi della Chiesa, soprattutto per i problemi che solleva ancor oggi. A proposito dei diaconi, molti testimoni della Tradizione hanno ricordato che il Signore ha scelto gesti di umile servizio per esprimere e rendere presente la realtà della morphe doulou (Fil 2, 7), che egli ha assunto in vista della missione della salvezza. Concretamente, il diaconato è nato come aiuto agli apostoli e ai loro successori, questi stessi intesi come servi alla sequela di Cristo.
Se il diaconato è stato costituito come ministero permanente dal Concilio Vaticano II, è specialmente per rispondere a necessità concrete (cf LG, 29b) o per concedere la grazia sacramentale a quelli che compiono già funzioni diaconali (AG, 16f). Ma l'identificazione più chiara di queste necessità e di queste funzioni nelle comunità cristiane rimane da compiere, benché si disponga già della ricca esperienza delle Chiese particolari che, dopo il Concilio, hanno accolto nella loro pastorale il ministero permanente del diaconato.
Nella coscienza attuale della Chiesa, c'è un solo sacramento dell'ordine. Riprendendo l'insegnamento di Pio XII 1, il Concilio Vaticano II afferma tale unità, e vi riconosce incluso l'episcopato, il presbiterato e il diaconato. Secondo la decisione di Paolo VI, solamente questi tre ministeri ordinati costituiscono lo stato clericale 2. Con prudenza tuttavia, per quanto riguarda il diaconato, il Concilio parla solamente di «grazia sacramentale». Dopo il Vaticano II, Paolo VI 3 e il n. 1570 del Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC) insegnano che, con l'ordinazione, il diacono riceve il carattere del sacramento dell'ordine. Il can. 1008 del CIC afferma che i tre ministeri ordinati sono esercitati in persona Christi Capitis 4. Seguendo la LG, 29, che attribuisce al diacono l'amministrazione solenne del battesimo (cfr SC 68), il can. 861,1, presenta ognuno dei tre ministri ordinati come ministri ordinari di questo sacramento; il can. 129 riconosce a tutti coloro che hanno ricevuto l'ordine sacro la potestas regiminis 5.
D'altra parte, è sottolineata anche la differenza tra i ministeri sacerdotali e il ministero diaconale. L'affermazione conciliare secondo la quale il diacono non è ordinato per il sacerdozio ma per il ministero è stata recepita dai diversi documenti del Magistero postconciliare. Nel modo più chiaro, il CCC (n. 1554) distingue all'interno di una stessa ordinatio il gradus participationis sacerdotalis dell'episcopato e del presbiterato e il gradus servitii del diaconato. Infatti, il diaconato, per il suo modo di partecipare all'unica missione di Cristo, realizza sacramentalmente questa missione come un servizio ausiliario. È «icona vivens Christi servi in Ecclesia», ma mantiene, proprio in quanto tale, un legame costitutivo con il ministero sacerdotale al quale presta il proprio servizio (cfr LG, 41). Non è un servizio qualsiasi che è attribuito al diacono nella Chiesa: il suo servizio appartiene al sacramento dell'ordine in quanto collaborazione stretta con il vescovo e con i presbiteri, nell'unità della medesima attualizzazione ministeriale della missione di Cristo. Il CCE (n. 1554) cita sant'Ignazio di Antiochia: «Tutti riveriscano i diaconi come Gesù Cristo, come pure il vescovo, che è l'immagine del Padre e i presbiteri come il senato di Dio e come l'assemblea degli apostoli: senza di loro non si può parlare di Chiesa» 6.
Per quel che riguarda l'ordinazione delle donne al diaconato, conviene notare due indicazioni importanti che emergono da quanto è stato sin qui esposto: 1) le diaconesse di cui si fa menzione nella Tradizione della Chiesa primitiva – secondo ciò che suggeriscono il rito di istituzione e le funzioni esercitate – non sono puramente e semplicemente assimilabili ai diaconi; 2) l'unità del sacramento dell'ordine, nella chiara distinzione tra i ministeri del vescovo e dei presbiteri da una parte, e il ministero diaconale dall'altra, è fortemente sottolineata dalla Tradizione ecclesiale, soprattutto nella dottrina del Concilio Vaticano II e nell'insegnamento postconciliare del Magistero. Alla luce di tali elementi posti in evidenza dalla presente ricerca storico-teologica, spetterà al ministero di discernimento, che il Signore ha stabilito nella sua Chiesa, pronunciarsi con autorità sulla questione.
Al di là di tutti i problemi che solleva il diaconato, è bene ricordare che dopo il Concilio Vaticano II la presenza attiva di questo ministero nella vita della Chiesa suscita, in memoria dell'esempio di Cristo, una coscienza più viva del valore del servizio per la vita cristiana.
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1) Constitutio apostolica Sacramentum ordinis, artt. 4-5 [Denz.-Schönm. 385-386]. Sull'imposizione delle mani e sulla preghiera di consacrazione cfr pure Gregorio IX, Ep. Presbyter et diaconus ad episc. Olaf de Lund [Denz.-Schönm. 826; cfr 1326].
2) Paolo VI, Ministeria quaedam, in AAS 64 (1972) 531.
3) Id. , Sacrum diaconatus, ivi, 59 (1967) 698.
4) È stato comunicato alla Commissione Teologica Internazionale che esiste ora un progetto di revisione di questo canone che mira a distinguere i ministeri sacerdotali dal ministero diaconale.
5) Cfr P. Erdö, «Der ständige Diakon. Theologisch-systematische und rechtliche Erwägungell», in Akath KR 166 (1997) 79-80.
6) Ignazio di Antiochia, Ad Trall. 3, 1.
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