Diaconato permanente e stati di vita



Settimana, 6 settembre 2009/n. 31

Approfondimenti


A San Giovanni Rotondo
il 22° convegno nazionale della "Comunità del diaconato in Italia"





DIACONATO PERMANENTE E STATI DI VITA


Scopo del seminario era di fare il punto sul diaconato, con lo scopo di raccogliere gli orientamenti concreti riguardanti il "modo" di realizzare il ministero del diacono nelle chiese locali e i cammini di formazione che devono precedere e accompagnare questa realizzazione.
Il rapporto fra ministero diaconale e sacramento del matrimonio.
Alcune esperienze diaconali.



Diaconato e stati di vita: dal discernimento alla formazione. Questo il tema del convegno promosso dalla Comunità del diaconato in Italia e giunto alla sua 22a edizione, che si è tenuto a San Giovanni Rotondo dal 3 al 6 agosto 2009. La scelta di questo luogo, che subentra all'ormai tradizionale sede di Assisi, è nata dalla decisione di tenere questi nostri incontri - proprio a partire di quest'anno - secondo una modalità itinerante nelle diocesi; e, dovendo optare per una nuova sede, radunarci nel luogo animato dalla presenza ancora palpitante di p. Pio da Pietrelcina è sembrata una scelta di pregnante continuità con san Francesco e con Assisi. Una continuità, tra l'altro, mirabilmente espressa dai mosaici di Rupnik, realizzati nella cripta della chiesa nuova di p. Pio, che illustrano in parallelo proprio la vita di Francesco e quella del santo di Pietrelcina.
L'appuntamento di quest'anno si è posto in continuità di orientamenti anche con il seminario di studio promosso dalla Commissione episcopale per il clero del novembre scorso, significativo per la sua valenza rispetto sia alle finalità che ai destinatari. Scopo del seminario, infatti, è stato fare il punto sul diaconato, con il preciso intendimento di raccogliere gli orientamenti concreti riguardanti il "modo" di realizzare il ministero del diacono nelle nostre chiese e i cammini di formazione che devono precedere e accompagnare questa realizzazione.
Il convegno, che ha visto la partecipazione di circa 350 persone tra presbiteri delegati, diaconi, candidati e aspiranti, mogli, laici, religiosi e consacrati, ha fatto propri gli obiettivi del seminario con una precisa finalità divulgativa, articolandosi in cinque relazioni che hanno sviluppato i molteplici contenuti sottesi al tema.

Il discernimento e la formazione al diaconato. Don Giuseppe Bellia, docente di sacra Scrittura presso la Facoltà teologica di Palermo e direttore della rivista Il diaconato in Italia, ha aperto i lavori, presentando la riflessione sul discernimento e la formazione al ministero diaconale in rapporto ai diversi stati di vita. Ne è emerso un quadro interessante e suggestivo che, a partire dal tema del "sogno" di Giuseppe, ha toccato e messo in evidenza le sfide che il diaconato pone alla nostre comunità.
Quello dal discernimento vocazionale alla formazione al diaconato potrebbe sembrare un passaggio di ordinaria conduzione o una questione poco impegnativa: un lavoro facile, insomma, tutto concentrato su un insieme di scelte coerenti formulate alla luce di una solida teologia ministeriale, o più specificatamente "diaconale". In questi anni - secondo Bellia - la prassi delle nostre chiese ha mostrato una problematica del tutto diversa, perché accanto a percorsi seri e coerenti s'incontrano soluzioni quanto mai disparate e spesso contrastanti, che vedono, da un lato, impostazioni formative rigorose (a volte quasi proibitive), dall'altro soluzioni di compromesso, rappezzate e improvvisate.
Passare dal discernimento ad una formazione conseguente non è un atto unico o solo teorico che vale per sempre, ma un'opera di vigile adattamento necessaria per comprendere e disegnare un percorso umano e spirituale complesso, che richiede la sapienza di una pedagogia duttile e il rigore di una disciplina di "ascolto orante". Un tale passaggio non può essere affidato ad una programmazione generica che prescinda dalla realtà personale, ambientale e storica dei soggetti coinvolti e degli ambiti di esercizio ministeriale, e al di là dei possibili percorsi di formazione fondati su valide linee generali è doveroso e saggio chiedersi se, di fronte a uomini adulti già formati umanamente e socialmente, oltre che moralmente e spiritualmente, l'attività di formazione possa limitarsi agli aspetti intellettuali e dottrinali o non debba anche affrontare, invece, problematiche di vita familiare, di impegno lavorativo e di ambiente professionale.

Il rapporto tra ministerialità del matrimonio e diaconale. Ad Andrea Grillo, docente di sacramentaria al Pontificio Ateneo di S. Anselmo, è stata assegnata la riflessione teologica sulla ministerialità del matrimonio nel suo rapporto con il ministero diaconale. Tema certamente attuale e, nello stesso tempo, ancora poco scrutato sia teologicamente che pastoralmente. Molte e interessanti le suggestioni scaturite dal suo intervento. Il primo passaggio riguarda una domanda: come impostare lo "sguardo" sul rapporto tra diaconato e matrimonio? Ovvero quale possibile reciprocità tra diaconato e matrimonio? Sicuramente l'introduzione di una teologia del diaconato come sacramento modifica la comprensione del concreto sviluppo del sacramento del matrimonio e, viceversa, una teologia che colloca il matrimonio al centro dell'esperienza ecclesiale modifica tutta la teologia dell'ordine, ivi compresa la teologia del diaconato; pertanto, la posta in gioco è una riflessione globale sulla ministerialità nella chiesa che sia capace di trovare spazi, anche minimi ma significativi, di "declericalizzazione".
Il matrimonio, come "stato di vita" possibile del diacono, non è una condizione del tutto chiara per la vita ecclesiale. La nuova soggettività della "famiglia", nella teologia degli ultimi 80 anni, e la forte "personalizzazione" della teologia del matrimonio hanno profondamente mutato la stessa autocomprensione da parte della chiesa di questa sua realtà interna. Da qui la necessità del recupero di una "ministerialità complessa" nel sacramento del matrimonio a partire da alcuni aspetti emergenti: il diacono come "ministro" del matrimonio altrui; "sporgenza" del matrimonio rispetto all'ordine, e viceversa; forza naturale del matrimonio e forza istituzionale dell'ordine, in rapporto a Cristo e alla chiesa. Una prospettiva sulla teologia del diaconato alla luce di tale mutamento, investe lo "stato di vita" matrimoniale e le sue conseguenze formative e spirituali sulla figura ministeriale del diacono.
Ne emergono problemi ancora aperti: il passaggio incontrollabile tra "disciplinare" e "dottrinale" come risorsa per la vita della chiesa; la capacità di differenziare lo sguardo sull'oggetto "diaconato" come parte del ministero ordinato; la "via" per evitare l' ''immunizzazione clericale". Nella logica di uno sguardo differenziato sul matrimonio, occorre distinguere tra dimensioni dogmatico-disciplinari, ascetico-morali e simbolico-rituali. Nell'ambito di queste ultime, il relatore ha offerto una scansione di "esperienza matrimoniale" che può segnare positivamente lo stile di vita diaconale (e non può segnare quello presbiterale/episcopale): gli stili dell'agire nella diaconia familiare quotidiana (iniziare, guarire, servire); i luoghi dell'umile servizio alla "salvezza altrui" (tavola, talamo, toilette); i tempi della pazienza: sincronia e diacronia familiare (lavoro, vacanza, festa). Ecco, dunque, la vera risorsa: la fedeltà allo stile della diaconia familiare come rinnovamento integrale del ministero ecclesiale, pur senza negare la legittimità e persino l'insuperabilità delle forme celibatarie del ministero.
Due aspetti stanno particolarmente a cuore alla Comunità del diaconato rispetto alla formazione: quello del servizio privilegtato ai poveri (mai sufficientemente "incarnato" nel vissuto diaconale), e quello della formazione spirituale che - come dicono i vescovi italiani nel documento del 1993 - è l'aspetto unificante di tutta la formazione dei diaconi.

I diaconi "alla scuola" dei poveri. A mons. Giuseppe Merisi, vescovo di Lodi e presidente di Caritas italiana. è stato affidato il compito di scrutare come i diaconi debbano essere formati alla scuola dei poveri. Sappiamo tutti come la centralità del servizio ai poveri abbia accompagnato, specie in questo tempo, lo sviluppo e la purificazione dell'autocoscienza della chiesa e come esso costituisca il compito suo primario nel passaggio che si deve compiere dall'autocoscienza alla pratica della vita cristiana. Sappiamo anche che si sono chiariti i termini di quella che era stata definita la "scelta preferenziale dei poveri", nel senso che questa scelta significa stare dalla parte dei poveri, stando insieme con i poveri.
Questo esige che le chiese considerino con sempre maggiore attenzione il ministero dei diaconi, che ne curino e sostengano in termini propri, strutturalmente chiari e permanenti, la formazione per averli così e solo così - effettivamente corrispondenti ai bisogni delle situazioni delle esigenze degli uomini, soprattutto degli ultimi.
La diaconia ha senso se si recuperano i poveri all'eucaristia e, perciò, la chiesa ai poveri. E, come la povertà di Cristo è il segno che rivela al discepolo la profondità della vita trinitaria, così la povertà della chiesa "serva dei poveri" è il segno rivelatore della sua partecipazione concreta al mistero di annientamento del Figlio. Chiave di volta per un esercizio diaconale fedele e credibile, perché è proprio in questo servizio liturgico-esistenziale che i diaconi compiono in nome di Cristo, per conto dei vescovi e in rappresentanza di tutto il popolo cristiano, che si rende visibile il senso della diaconia cristiana e la vera natura della chiesa.

Per una spiritualità "biblica" del diacono. La relazione conclusiva, Per una spiritualità biblica del ministero diaconale, è stata affidata a p. Raniero Cantalamessa, predicatore della Casa Pontificia, e ha rappresentato la sintesi puntuale e suggestiva di tutto il convegno. L'intervento, che di fatto avrebbe anche potuto aprire i lavori anziché chiuderli, è stato collocato volutamente a conclusione dell'incontro per dare il senso e la giusta collocazione al tema stesso.
La riflessione di p. Raniero ha evidenziato come la spiritualità del diacono si radica in ciò che egli è divenuto per mezzo del sacramento del diaconato. Beneficiario della grazia propria di questo sacramento, il diacono diviene in certo modo lui stesso, nella sua persona e nella sua vita, segno e strumento di grazia. II diacono è, infatti, beneficiario di una grazia sacramentale che lo rende capace di vivere come servo di Cristo: presentandoci l'esempio dell'umiltà del servo - Io sono in mezzo a voi come colui che serve - egli rende visibile che chi è a capo di una comunità deve apprendere e far suo l'atteggiamento di chi serve - Chi vuoi essere il primo deve essere il servo di tutti. Il discepolo dev'essere, dunque, quel servo fedele e prudente che si prende cura delle cose del Regno per amore di Gesù, rispondendo al Cristo che lo chiama a seguirlo come diacono (servo) e lo invita a vivere in comunione intima con lui, a dimorare in lui che chiama i suoi discepoli non "servi" ma "amici", e prendere parte alla sua gloria. La radice del diaconato è, pertanto, "cristologica". Cristo è venuto nel mondo per essere "diacono" e i diaconi sono l'epifania della diaconia della chiesa. Oggi - ha affermato p. Cantalamessa - il termine "servizio" è diventato "pericolosamente positivo" se non è radicato in quelle che lui ha chiamato le armoniche del servire: l'umiltà e la carità.
Il diacono è inabitato dallo Spirito di Cristo: la sua vita e la sua azione sono avvolte da quello Spirito che conduce alla verità, che denuncia il male, che aiuta a discernere, che fa vivere la comunione in uno stesso amore. La sua spiritualità riposa nel suo conformarsi a Cristo Servo, in un cammino di assimilazione secondo la verità del Signore che si è fatto servo di tutti.

Alcune esperienze familiari "diaconali". Uno spazio significativo del convegno è stato dedicato all'ascolto di esperienze familiari diaconali concrete, messe a confronto in una tavola rotonda animata da tre spose, rispettivamente mogli di un diacono italiano, Laura Corradini di Modena, spagnolo, Montserrat Martínez di Barcellona, e francese, Marie-Françoise Mancient-Hanquez di Parigi. Gli spunti interessanti sono stati molti e hanno animato un dibattito molto partecipato. Riassumendo brevemente l'analisi delle risposte fornite, è emerso che, accanto alle innegabili difficoltà che accompagnano la coesistenza di questa doppia sacramentalità, ci sono anche alcuni importanti punti positivi già chiari alla coscienza degli sposi ed efficacemente presenti nel loro vissuto. Da ciò derivano alcune sfide che le "coppie diaconali", le comunità e i responsabili del diaconato nelle varie diocesi devono prendere in considerazione, perché il diacono trovi un equilibrio valido tra il ministero, la vita coniugale e familiare e la vita professionale e sociale, e perché il diaconato possa continuare ad essere fermento di crescita nella chiesa.

Il cammino della "Comunità del diaconato in Italia". In qualità di presidente della Comunità del diaconato, mi è toccato il compito di tracciare la situazione del diaconato in Italia, individuando il ruolo che la Comunità stessa ha svolto nell'iter di questi decenni. Come ogni realtà "in cammino", anche il diaconato è caratterizzato - in Italia come nel mondo - da una serie di realizzazioni che denotano, da un lato, un innegabile percorso di maturazione e, dall'altro, alcune questioni ancora aperte, come quelle del discernimento e della formazione, sulle quali - soprattutto recentemente - si sono incentrati lo studio, la riflessione, gli orientamenti pastorali.
Quarant'anni sono un tempo ormai sufficiente, anche se non esaustivo, per verificare il cammino compiuto dal diaconato in Italia. L'accoglienza della "novità" della reintroduzione di questo ministero dopo quindici secoli di assenza si è mossa tra la sorpresa e la diffidenza, entrambe dovute, da una parte, alla diffusa concezione "piramidale" della chiesa e, dall'altra, alla domanda che l'opinione pubblica ecclesiale si è posta: a che serve il diacono? Una domanda comprensibile, se si pensa che il concetto e la realtà del ministero nelle comunità parrocchiali erano identificati in quegli anni esclusivamente con il servizio proprio ed esclusivo dei presbiteri. Era invece da chiedersi prima: "chi è il diacono?". E la risposta a tale interrogativo non è possibile se non in una più ampia riflessione ecclesiologica e in una prospettiva che superi le preoccupazioni dettate spesso dall'efficientismo.
Mancando questo necessario retroterra, si spiega facilmente che l'attuazione del dato conciliare e dei primi documenti applicativi, almeno in alcune nostre chiese, sia proceduta tra il superficiale e l'entusiastico, e dunque senza un'adeguata formazione e uno scrupoloso discernimento. Sorprese e delusioni non sono mancate. proprio perché il terreno non era sufficientemente preparato.
È seguita una fase di riflessione e di più attenta maturazione, facilitata non solo dall'esercizio dei ministeri ecclesiali inferiori, all'interno dei quali sono emerse le vocazioni al diaconato, ma anche da apporti più puntuali del magistero (fine anni 70 e anni 80), da iniziative più robuste di carattere formativo e da esperienze pastorali più oculate e significative.
Negli ultimi anni si può dire che il diaconato ha assunto piena cittadinanza nella maggior parte delle chiese locali (solo 13 diocesi 1 non hanno i diaconi). Le ultime statistiche dicono che in Italia i diaconi permanenti sono circa 3.419 2 (più di 1.500 sono i candidati). Da tempo, e soprattutto dopo il documento della Cei del 1993 (I diaconi permanenti nella chiesa in Italia. Orientamenti e norme), ma ancor più dopo la pubblicazione dei Direttori delle congregazioni, molte diocesi hanno pubblicato o adeguato un apposito Direttorio destinato a tradurre disposizioni e indicazioni dei testi magisteriali in rapporto alle situazioni e alle istanze locali, e questo ha indubbiamente aiutato e dato nuovo impulso al formarsi di una corretta "coscienza" diaconale.
Ma cosa fanno, in concreto, i diaconi? Essi generalmente sono i collaboratori del parroco, e il loro servizio spazia su tutto l'arco dell'evangelizzazione, della liturgia e della carità. Certo, non tutto è agevole e talvolta non mancano incomprensioni e difficoltà. Ci sono fasce nella comunità cristiana non ancora sufficientemente sensibilizzate rispetto al ministero diaconale, e sarebbe quindi necessario promuovere nelle nostre comunità momenti di vera catechesi, miranti alla comprensione che il diaconato è un evento di grazia nella vita e nella pastorale parrocchiale.
Nell'iter formativo, inoltre, la dimensione culturale non appare ancora presente appieno: si deve lavorare in questa direzione, perché essa garantisce un apporto essenziale per l'esercizio di un ministero chiamato a "scrutare" i segni dei tempi, cogliere le situazioni concrete della vita delle persone e "porsi in relazione" con la gente, ascoltando, annunciando, comunicando, mediando fra parole degli uomini e parola di Dio. Su questa linea si è posta in questi anni anche la necessità di un'integrazione tra lo spazio ecclesiale e lo spazio sociale del diacono, perché è soprattutto in quest'ultimo che si consumano le sfide del nostro tempo: il lavoro, l'economia, la politica, la legalità, la giustizia. È interessante a tal proposito approfondire nell'ottica del ministero diaconale quanto papa Benedetto scrive nell'ultima enciclica Caritas in veritate. Ed è in un giusto rapporto tra spazio ecclesiale e spazio sociale che si comprende la dimensione missionaria del diaconato, quella che permette alla diaconia ordinata di restare "luogo di profezia" dove Parola, eucaristia e poveri tornino ad essere l'asse portante di tutta la vita ecclesiale.
Per la Comunità del diaconato in Italia non si propone un bilancio per così dire "interno" - che parta da sé e a sé ritorni -, perché essa non esiste per se stessa, ma soltanto in funzione della promozione del ministero diaconale. Sono trascorsi oltre quarant'anni dagli inizi. Per certo, il diaconato permanente risulta essere oggi l'unica vocazione in Italia in forte crescita nella chiesa, e il suo sviluppo molto deve, almeno nella sua fase iniziale, al lavoro prezioso e instancabile di animatori ispirati, come don Alberto Altana.
Essendo prevedibile che il formarsi di una prassi del ministero diaconale in seno alla chiesa non può ritenersi acquisita ed è suscettibile di mutamenti e approfondimenti nel tempo (soprattutto se si pensa alla centralità per alcuni aspetti "esclusiva" fino ad ora assunta dalla figura del presbitero), la Comunità ha senza dubbio ancora una sua funzione di informazione e di interlocuzione, e rimane dunque punto nodale per l'informazione italiana e mondiale circa lo sviluppo del diaconato, "luogo di incontro" per lo scambio di esperienze e per conoscere le novità dell'approfondimento teologico e degli orientamenti del magistero 3.
Nei convegni nazionali e interregionali, come anche in quelli diocesani, abbiamo da tempo promosso degli incontri ad hoc solo delle mogli, come quello che ha visto quest'anno la presenza di spose anche di altri paesi europei, che ci hanno arricchito con la loro testimonianza. Lo scopo è stato anche quello di creare - come già realizzato a livello internazionale - una "rete" attiva come piattaforma per lo scambio di idee e di esperienze delle mogli (e famiglie) dei diaconi, con l'obiettivo di creare e stabilire una comunicazione efficace ed un legame di sostegno e solidarietà.
La Comunità ha il suo cuore nella rivista e i momenti di scambio nei seminari e nei convegni. Fedele allo spirito di servizio alle chiese locali, in comunione con la Cei, esprime piena collaborazione all'accoglienza e alla diffusione degli orientamenti magisteriali, ribadendo in tal modo anche la fedeltà alla sua originaria spiritualità di servizio e di povertà, nella ferma convinzione che la grazia del diaconato permanente costituisca un prezioso dono dello Spirito per una chiesa davvero disponibile e capace di rinnovamento.
Enzo Petrolino
pres. "Comunità diaconato in Italia"




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1. Cuneo e Fossano (Piemonte); Mantova e Crema (Lombardia); Volterra (Toscana); Camerino (Marche); Ariano Irpino e Acerra (Campania); Acerenza e Tricarico (Basilicata); Patti e Mazara del Vallo (Sicilia); Ozieri (Sardegna).

2. L'Italia è il paese europeo col maggior numero di diaconi permanenti e precede la Germania con 2.463, mentre nel 1997 la situazione era invertita (2.016 diaconi in Germania, 1.966 in Italia). Siamo secondi nel mondo dopo gli Stati Uniti. I diaconi sono distribuiti, in maniera quasi omogenea, su tutto il territorio nazionale con una presenza in ben 214 (94,27%) diocesi su 227 e una prevalenza nel Sud (37,26%; 37% al Centro e al Nord 25,68%). Questa la distribuzione nelle 16 regioni ecclesiastiche: Campania 529; Emilia-Romagna 412; Piemonte 304; Lazio 285; Sicilia 278; Triveneto 277; Toscana 273; Puglia 254; Lombardia 187; Calabria 175; Liguria 110; Umbria 105; Marche 97; Abruzzo e Molise 95; Sardegna 80; Basilicata 38.

3. Nel 2004, a Frascati, si costituiva il primo consiglio nazionale, frutto del nuovo Statuto, approvato dopo una lunga riflessione ed una elaborata discussione nei diversi incontri tenuti con il consiglio direttivo. Foglio di collegamento tra gli iscritti è il Notiziario, uno strumento agile - 4 numeri l'anno - che riporta la vita del diaconato in Italia con le notizie dalle diocesi o di avvenimenti particolarmente interessanti a livello nazionale. Il Notiziario viene inviato a tutti i diaconi d'Italia, oltre ai delegati vescovili e a tutti i vescovi.




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