Matrimonio e diaconato, dono e problemi


DALLE DIOCESI
Diocesi di Rimini

Come armonizzare i doni spirituali dei sacramenti del matrimonio e dell'ordine sacro nella vita concreta della famiglia del diacono? Le diverse articolazioni di questo tema sono diventate esplicite domande rivolte ai diaconi della diocesi di Rimini. Le risposte, raccolte dal diacono M. Domenichini (Cesena), saranno oggetto di ulteriore riflessione. La sintesi che qui vi proponiamo non vuole ovviamente dare un quadro esaustivo della questione ma vuole essere una "provocazione" o comunque un'occasione per riflettere insieme.


Quale percorso di coppia è necessario intraprendere durante gli anni di formazione prima di ricevere il ministero e continuare poi perché i doni spirituali dei due sacramenti si armonizzino e siano reciprocamente fecondi nella vita concreta della "coppia diaconale"?

Solo una coppia già sperimentata può intraprendere il percorso verso il diaconato, cioè una coppia che abbia vari anni di matrimonio alle spalle e che abbia iniziato un serio cammino spirituale: tutto questo va curato prima che si intraprenda la nuova strada. Ed è utile che la coppia sia già inserita in un ambito ecclesiale che ne nutra la spiritualità sponsale ed individuale e la sostenga con la preghiera. In particolare bisogna riflettere seriamente sulle risorse concrete esportabili fuori dell'ambito familiare, cioè sulla possibilità di impegnare tempo ed energie al di fuori della famiglia. Ciò soprattutto nel caso in cui i figli siano molto piccoli, ci siano anziani da accudire o l'impegno lavorativo del marito sia particolarmente gravoso.
Occorre inoltre esercitare, nel tempo della verifica vocazionale, l'ascolto profondo del coniuge e saper intuire i sentimenti l'uno dell'altro. L'accoglienza, la pazienza, il perdono e la comprensione sono gli atteggiamenti indispensabili per un corretto e proficuo percorso di coppia verso il diaconato.

Quali i segni che ciò non sta avvenendo e che devono indurre cautela prima di procedere all'ordinazione?

I segni da valutare possono essere diversi per ogni coppia, che deve saperli leggere o essere aiutata a farlo, in particolare dal direttore spirituale o dal delegato diocesano per il diaconato. In generale alcuni segni di disagio sono individuabili facilmente: la presunzione del marito di fare un cammino privilegiato che lo pone su un piano diverso da quello della moglie (segno di non corrispondere di fatto alla vocazione diaconale in quanto incapace di vivere quella sponsale); il porre continuamente dei distinguo sull'esperienza del marito da parte della moglie; la sistematica mancanza di partecipazione della moglie agli incontri della comunità diaconale non dovuta ad impegni familiari; la manifestazione costante o frequente di disappunto o sofferenza della moglie riguardo ai nuovi impegni formativi del marito; incomprensioni più frequenti del solito nella coppia derivanti da un cammino svolto in modo unilaterale che fa emergere o addirittura scoppiare problematiche di coppia già esistenti ma precedentemente sopite o latenti.
La divisione rigida dei ruoli tra i coniugi - uno tutto concentrato sul ministero, l'altra immersa nelle necessità familiari - può essere un ostacolo alla comunione. La mancanza di preghiera, l'impazienza, la fretta, la mancanza di tempo per la famiglia e per il Signore sono altri segni importanti che devono indurre ad un'attenta valutazione del percorso intrapreso e spingere a rimuovere i motivi che lo intralciano, se lo si vuole continuare. Occorre sempre ricordare che non si deve essere diaconi a tutti i costi. La coppia e la famiglia non possono rischiare lo sfascio per pagarne il prezzo.

La coppia ha chiaro che ambedue i suoi membri hanno la stessa dignità in quanto battezzati, anche se l'ordine sacro è stato ricevuto solo dal marito? (Ciò è importante perché ciascuno di essi possa vivere con serenità il suo ruolo, senza che da una parte la moglie si senta sminuita e dall'altra il marito ordinato possa accampare pretese).

Pensare che il marito assuma una dignità maggiore in virtù del diaconato sarebbe ammettere la prevaricazione dell'uno sull'altra. Solo la stabilità ormai raggiunta dei ruoli e la maturità affettiva ed umana permettono di vivere la pari dignità. Se non fosse assodata la certezza sulla pari dignità degli sposi non si potrebbe nemmeno vivere la gioia del diaconato: la Chiesa non divide mai ciò che Dio ha unito. I due sacramenti, diaconato e matrimonio, voluti entrambi dal Signore, non possono essere contrapposti tra loro, ma sono destinati ad armonizzarsi.

Nella coppia e nella famiglia si sperimenta (concretamente) che la grazia del sacramento dell'ordine sacro si riverbera anche sulla sposa del diacono in virtù del sacramento del matrimonio? E che i due sacramenti si corroborano a vicenda? Qual è la vostra esperienza al riguardo?

Il matrimonio, che precede nel tempo il sacramento dell'ordine, ha fatto dei due sposi una cosa sola, quindi la grazia si riverbera sulla moglie e non solo, ma anche sui figli. Ciò nella misura in cui lo sposo vive con pienezza il suo diaconato: il diaconato è capace di sostenere il matrimonio nella fedeltà alla preghiera e spinge gli sposi a essere ministri del servizio reciprocamente con amore ancora più grande, per essere segno della misericordia di Dio per loro stessi e per i fratelli. Il marito quindi non può accampare pretese, né la moglie sentirsi sminuita per il dono ricevuto dal marito, che lei indirettamente condivide. Il corroborarsi a vicenda dei due sacramenti si manifesta anche quando la moglie si sente in comunione col marito diacono pur essendo costretta dalle necessità familiari a rimanere a casa e nel momento in cui riesce a far sentire la presenza del marito ai figli anche quando egli sta svolgendo il suo ministero altrove. Non sempre però si riesce a vedere e a vivere l'armonia tra i due sacramenti: invece che rafforzarsi a vicenda talora sembrano in conflitto, sembra che le esigenze dell'uno non siano compatibili con quelle dell'altro. Ci si sente allora divisi e ciò provoca grande sofferenza interiore e può causare tensioni e conflitti di coppia più o meno evidenti nella quotidianità.

Come vive la moglie gli impegni del marito? Qualora la moglie non partecipi alla vita della comunità diaconale, lo fa perché in qualche modo insoddisfatta della scelta del marito, perché non si sente coinvolta, oppure per necessità familiari o per timidezza di carattere? È sentito come un obbligo che la moglie si coinvolga personalmente negli impegni del marito? È invece avvertito come desiderio? Oppure ancora come pretesa? Da parte di uno solo dei coniugi o da parte di entrambi?

La partecipazione agli incontri non è sentita dai più come un obbligo, ma piuttosto come un desiderio che manifesta il senso di appartenenza alla comunità diaconale. La moglie non deve né può trascurare le necessità familiari. Nella maggior parte dei casi c'è un reale dispiacere di fronte a ogni impedimento alla frequentazione degli incontri che non sono solo finalizzati alla formazione, ma sono anche sentiti come belle occasioni per costruire un'amicizia con le altre mogli all'interno della comunità diaconale.
Talora per motivi di carattere e di differenza di carismi, la moglie non si sente di condividere gli impegni concreti del marito, ma si sente comunque in comunione con lui. La condivisione del ministero del marito si basa sulla preghiera insieme (per esempio la recita delle Lodi insieme per cominciare bene la giornata), sulla sincerità e sull'ascolto. Il diacono deve prendere tutti gli accorgimenti possibili per non pesare sulla famiglia e per farsi percepire vicino ad essa anche quando fisicamente non c'è.

L'età dei figli e la situazione familiare condiziona il modo di affrontare gli impegni diaconali? La coppia vive difficoltà dovute ai figli, siano esse legate alla crescita, siano invece legate all'accettazione del diaconato paterno?

In alcuni casi i figli sono ormai grandi e con famiglia propria. Altre volte i figli hanno accettato a fatica il diaconato del padre. Sembra comunque che nella maggior parte dei casi l'ordinazione del padre non abbia suscitato particolari difficoltà, anzi la scelta è stata condivisa anche con i figli, ai quali si è spiegata la motivazione profonda del diaconato: l'assenza del padre non è dovuta alla ricerca di un personale tornaconto, bensì alla risposta ad una chiamata più grande. È sempre importante mantenere un dialogo costante coi figli e la moglie sulle problematiche che il diaconato paterno pone. In particolare la "complicità" del diacono con la moglie è fondamentale per agevolare l'accettazione da parte dei figli. E poi bisogna rispettare i tempi della crescita dei figli e la loro ricerca di autonomia: non bisogna pretendere che condividano scelte non fatte da loro, ma si può chiedere rispetto per l'avventura di fede che vivono padre e madre.

Il diacono riesce a imporsi un limite nei confronti degli impegni ecclesiali per mantenere il suo ruolo fondamentale all'interno della famiglia? È capace di ascoltare la moglie quando essa - espletando il suo ruolo di "sentinella" della realtà familiare - sottopone alla sua attenzione le necessità dei figli e della famiglia?

Non sempre il diacono riesce ad imporsi il limite suggerito dalle necessità familiari, a causa del forte coinvolgimento personale nelle necessità della comunità e verso i doveri del ministero. Avverte comunque il bisogno di trovare un equilibrio, per vivere l'amore di Dio nei servizi richiesti (gratificanti o meno), e contemporaneamente per non mortificare il suo ruolo di padre all'interno della famiglia. In alcuni casi gli impegni diaconali vengono limitati da quelli lavorativi, quindi tutto procede in modo naturale e consequenziale o comunque viene pianificato in maniera razionale.
Da alcuni viene riconosciuto come fondamentale il ruolo della moglie, per il prezioso compito di richiamare il marito al suo ruolo di sposo e di padre quando gli impegni del ministero lo portano - magari inconsapevolmente e per generosità - ad essere troppo sbilanciato al di fuori dell'ambito familiare. Secondo altri, se ciascun coniuge prestasse costantemente attenzione alla vita dell'altro, non ci sarebbe bisogno di alcun richiamo all'equilibrio, ma tutto procederebbe senza problemi. Non ultima la preghiera personale e di coppia è uno strumento essenziale per mantenere la serenità in famiglia.

Come il diacono vive l'"obbedienza" nei confronti degli obblighi del ministero, conciliandoli con la "obbedienza" nei confronti della sposa e della famiglia?

Per molti prima viene l'obbedienza alla famiglia, in virtù del sacramento del matrimonio, precedente nel tempo quello dell'ordinazione. Per alcuni viene prima l'obbedienza al ministero, in virtù dell'importanza dell'ordinazione, che dà nuova natura al diacono. Se il diacono vive con piena dedizione il suo ministero, il Signore concede il discernimento necessario per conciliare i due sacramenti. Altri ritengono che i due sacramenti non si oppongono, perché è possibile viverli con l'aiuto del buon senso e la pratica della comprensione. Secondo altri ancora, le difficoltà che rimangono sono molte, tanto che il diacono spesso si sente diviso e ciò è causa di tensione e di frustrazione.

Il ministero diaconale può correre il rischio di diventare per il diacono l'"amante segreta", cioè l'ambito in cui realizzarsi sfuggendo alle responsabilità e alle difficoltà della vita di coppia e di famiglia? Può al contrario la famiglia diventare un alibi per il disimpegno del diacono nei confronti di servizi sgraditi?

Se la verifica preliminare è stata seria e se sia la moglie sia la comunità di appartenenza aiutano il diacono alla conversione costante del cuore e a discernere riguardo agli impegni, il pericolo non esiste. C'è però bisogno di una comunità coesa e coerente che aiuti il diacono a dare un senso alla sua presenza nella comunità stessa e a delineare i contorni della sua funzione. Occorre restare sempre vigili, perché i due rischi paventati si corrono più facilmente se la coppia si trova in un momento di difficoltà, oppure se il diaconato viene vissuto come gratificazione e autorealizzazione del marito. In definitiva si potrebbe concludere che vivere umilmente nell'obbedienza completa, senza protagonismi, permette di non avere né "amante segreta", né alibi. Ma sorge una domanda che rimette in discussione: il rischio che il ministero diventi l'"amante segreta" giustifica il fatto che il diacono rinunci a fare ciò che ritiene necessario per esso?

Il diacono vedovo avverte che il legame spirituale con la sua sposa rimane come ricchezza nella sua esperienza di diaconato? In quale modo o misura? Quale dono sente di apportare alla comunità cristiana e a quella diaconale? Quali motivazioni profonde hanno fatto scegliere ad alcuni lo stato di vita di diacono celibe? Come questa vocazione specifica costituisce un segno particolare e un dono originale per la comunità cristiana e per quella diaconale? Quali motivazioni profonde?

Sono poche le considerazioni inerenti al celibato diaconale: il diaconato è sentito come compimento della passione per il lavoro nella e per la comunità. Inoltre il diacono celibe viene visto come maggiormente disponibile per il ministero, ma rimane il rischio dell'incomprensione: una sorta di prete mancato.

La comunità diaconale valorizza la presenza dei confratelli vedovi o celibi?

Secondo alcuni la differenza tra sposati, vedovi e celibi non emerge, anzi la comunità diaconale forse valorizza poco le vocazioni particolari di vedovi e celibi, concentrandosi maggiormente ad approfondire la condizione dei diaconi sposati. Sarebbe interessante invece per gli sposati conoscere le ragioni dei fratelli, in particolare dei celibi, visto che la loro scelta appare particolarmente coraggiosa. I celibi, da parte loro, si sentono comunque a perfetto agio nella comunità diaconale, che sentono come realtà preziosa a sostegno del ministero e ricca di cordialità, dove vivere vera amicizia nel Signore.

La comunità diaconale aiuta essi e i con fratelli sposati a mantenere il loro stato di vita?

La comunità è fondamento della vita spirituale del diacono e l'amicizia nata all'interno di essa tra i confratelli diaconi è motivo di gioia e di grande sostegno. Si ritiene che il maggiore vantaggio sia goduto dai diaconi sposati, anche se l'aiuto ricevuto non è mai bastevole. La preghiera rimane in ogni caso il perno della vita spirituale.

Si ritengono utili per il sostegno delle spose gli incontri tra le mogli dei diaconi ed i momenti di confronto durante gli incontri mensili?

Si sono avuti sensibili cambiamenti nelle modalità di attuazione degli incontri della comunità diaconale, oggi più aperti all'orizzonte della realtà di coppia dei diaconi, mentre d'altra parte sono sempre più numerose le mogli dei diaconi che hanno un lavoro fuori casa. Per la maggioranza, alla luce di questi cambiamenti, non pare più necessario riproporre riunioni tra sole spose, mentre sembra più utile favorire la loro partecipazione agli stessi incontri dei mariti. Per alcune coppie rimangono comunque proficui e auspicabili, vista la funzione importante che in passato hanno avuto gli incontri per sole mogli affinché esse potessero conoscersi e sostenersi a vicenda.
Il confronto è ritenuta una vera grazia, ma qualcuno paventa il rischio che gli incontri tra sole mogli, favorendo un'interpretazione unilaterale dei problemi, invece che aiutare le coppie possano causare tensioni o addirittura divisioni. Si ritiene utile che durante gli esercizi spirituali il delegato diocesano si ritagli un tempo da dedicare all'ascolto delle mogli dei diaconi, per prendere atto di eventuali problemi e per approfondire la conoscenza delle loro famiglie. Occorrerebbe comunque più tempo per potersi conoscere meglio, per poter gustare la gioia di stare insieme e per condividere utilmente le esperienze, sia spirituali, sia familiari, che del ministero.

La famiglia dei diaconi è una famiglia come tutte le altre o è una famiglia un po' speciale? (non nel senso di migliore delle altre, ma di particolare, originale). E la coppia formata dal diacono e dalla sua sposa è una coppia come tutte le altre o è una coppia anche questa un po' speciale? È un bene per la comunità che la coppia del diacono in quanto coppia possa esprimere in seno ad essa un atteggiamento di donazione e di servizio o è meglio che la moglie rimanga più defilata? Fino a che punto - pur sottolineando che il sacramento dell'ordine l'ha ricevuto solo il marito - ci si può spingere a parlare di "coppia diaconale"? È un termine che può essere ritenuto legittimo o esprime una forzatura? In che modo la moglie, in virtù del sacramento del Matrimonio che la rende «una sola carne» con il suo sposo, partecipa dei doni e della grazia del sacramento dell'Ordine?

La famiglia del diacono è una famiglia come tutte le altre, ma con un dono in più, che la apre agli altri e al servizio. Spesso l'atteggiamento di servizio e l'apertura alla comunità sono una sua caratteristica anteriore al cammino del diaconato. Apertura significa soprattutto prossimità agli altri, capacità di condivisione e buona capacità di tessere relazioni nella comunità e nell'ambiente di vita e di lavoro. Quando la coppia vive queste dimensioni e un senso profondo di Chiesa, per i più si può definire "diaconale". Per altri il termine è comunque inadatto, perché chi ha ricevuto il sacramento è solo il marito, quindi la moglie non è necessariamente coinvolta nell'ottica di servizio del diacono né nel suo ministero. Per altri ancora, una scelta più distaccata da parte della moglie non significa che non condivida lo spirito di servizio del marito, ma può dipendere semplicemente da una divisione dei ruoli tra i due. Per alcuni, la famiglia del diacono è naturalmente "speciale", qualunque sia la divisione dei ruoli che gli sposi hanno scelto e qualunque sia il coinvolgimento della moglie. Nel nascondimento o nella visibilità, la testimonianza della famiglia del diacono è sempre un bene per la comunità.
La comunità parrocchiale riconosce una vocazione particolare alla famiglia del diacono o pensa addirittura che debba essere "più perfetta" delle altre, in virtù del sacramento del marito, e la osserva con attenzione o guarda con speranza.

A volte il rapporto tra parroci e diaconi (e le mogli) è faticoso, spesso a causa di pretese o di indifferenza. Come aiutare i parroci ad avere fiducia nei loro diaconi e nella disponibilità al servizio di questi e a valorizzare anche le "coppie diaconali" in quanto tali e le loro famiglie? Come aiutare i preti affinché acquisiscano sensibilità ed attenzione nei confronti delle aspettative che i diaconi hanno per il loro ministero, ma anche affinché imparino, nel contempo, a riconoscere e rispettare le dinamiche familiari che i diaconi vivono?

Le difficoltà sono per molti dovute al fatto che i preti non sono abituati a prendere decisioni condividendole con gli altri, sentono come esclusivamente propria la responsabilità della comunità e spesso vedono il diacono come mero esecutore o collaboratore qualificato invece che come corresponsabile e come fratello nell'ordine sacro. Questo è in gran parte dovuto alla formazione seminariale del parroco, che quindi va ricalibrata perché il prete impari non a fare tutto da solo, ma a condividere i pesi e le responsabilità - anche per moltiplicare la gioia - con altri. I sacerdoti potranno cambiare la loro mentalità solo se potranno sperimentare nel loro processo formativo e poi nella loro vita in parrocchia forme di vera fraternità. Utile per la conoscenza reciproca di parroco e diacono con la sua famiglia al fine di appianare tante difficoltà ed evitare fraintendimenti può essere una più assidua frequentazione tra loro grazie a momenti conviviali. La ricerca di prossimità col parroco e di dialogo costruttivo da parte della coppia diaconale rende il prete più sensibile alla famiglia e al servizio del diacono. Il rapporto è per alcuni già improntato a condivisione, ascolto e fiducia reciproca e c'è chi già sperimenta una comunione fraterna col parroco. C'è anche chi vive con piena serenità il fatto che, spettando comunque le decisioni al parroco, al diacono sono richiesti un atteggiamento umile e uno spirito di piena collaborazione, da apprendere durante il cammino di formazione al diaconato.
Il problema del rapporto tra parroco e diacono appare ad alcuni come un falso problema, perché gli ambiti di ministero dei due sono in realtà complementari. Se il diacono ha come modello del proprio ministero il "sacerdozio del tempio" del presbitero il conflitto è inevitabile, se invece il diacono opera secondo il suo proprium - il "sacerdozio di strada" - la maggior parte di queste controversie non trova ragione di essere.

Quale il ruolo della comunità diaconale nel favorire questi cambiamenti positivi con i nostri sacerdoti? Avete proposte al riguardo?

Sensibilizzare i preti alla presenza e alla funzione dei diaconi permanenti fin dalla formazione in seminario; incontri diocesani o di vicariato per sensibilizzare al problema, aperti ai soli preti o con la presenza dei diaconi; formare i seminaristi ai temi della coppia e della famiglia. Far sperimentare ai preti la realtà della famiglia e della comunità diaconale, oppure (al contrario!), inculcare al diacono in formazione, la disponibilità assoluta e senza condizioni al servizio.
Aprire gli incontri del presbiterio ai diaconi, tenendo conto delle loro esigenze lavorative e familiari per stabilire orari e calendari agibili; incontri comuni tra preti e diaconi a livello di vicariato o diocesano. Insistere nel richiedere e nel favorire a livello diocesano momenti di lavoro e di fraternità tra preti e diaconi e incontri tra gruppi di diaconi e rispettivi parroci. Incontri e ritiri di condivisione tra parroci, diaconi e famiglie; corsi di preparazione per i parroci che accoglieranno diaconi nella loro comunità (con la presenza del vescovo, dei diaconi e delle loro famiglie). Funzione regolare di mediazione del delegato diocesano con i parroci e i loro diaconi.
Il cammino compiuto nella comunità diaconale ha già comunque migliorato in molti casi i rapporti coi parroci. Hanno imparato a conoscersi, ma il cammino rimane ancora lungo. È la fedeltà alla rispettiva vocazione che permetterà a entrambe le parti di armonizzare i differenti ruoli tra loro.



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