Pentecoste
At 2,1-11
Gal 5,16-25
Gv 15,26-27;16,12-15
LO SPIRITO SVELERÀ
IL MISTERO DEL FIGLIO
Il vangelo odierno individua nella verità uno dei tratti distintivi dell'opera dello Spirito Santo. Egli è «Spirito di verità» (15,26 e 16, 13). Il suo compito sarà condurre alla "verità tutta intera" completando così la testimonianza e la missione del Cristo. Leggendo questo testo ci rendiamo conto che non possiamo definire frettolosamente la "verità" di cui lo Spirito è portatore come mera coincidenza tra pensiero e realtà. Non raggiungo la verità semplicemente perché dico che un tavolo è bianco e il colore di questo tavolo è effettivamente tale. Questo vorrebbe dire ridurre la verità a una pura questione di logica, di aderenza del pensiero alla percezione dei sensi. Pensiamo a cosa significhi vivere "veramente", condurre una vita "vera" e ci avvicineremo di più al discorso che Cristo rivolge ai suoi. Noi cerchiamo la verità della vita perché ne cerchiamo la pienezza e l'autenticità. Forse proprio la parola "autenticità" può orientare la nostra ricerca. La vita è come un anello d'oro. Consideriamo prezioso un gioiello finché siamo certi della sua autenticità. Se non fosse "vero" oro? L'anello non sarebbe più una ricchezza, ma un inganno che mostra e convince di ciò che non è.
Ciò che dà autenticità alla vita è anzitutto la relazione. Lo Spirito coinvolge con la propria presenza il Padre da cui è inviato e il Figlio, che pure "manda" lo Spirito (15,26). Egli testimonierà proprio riguardo al Cristo come faranno anche i discepoli. Ricevere lo Spirito è conoscere Cristo e il Padre. Lo Spirito a loro rimanda, non a se stesso. È l'Uno che porta con sé la Trinità tutta. Per questo è lo Spirito della verità. Egli, infatti, «non parlerà da se stesso ma dirà quanto avrà udito» (16, 13). Non è difficile comprendere che un uomo, chiunque esso sia, che pretendesse di esaurire la verità senza portare gli altri con sé dentro a questa verità, dimenticandoli o cancellandoli, sarebbe molto lontano dall'autenticità della vita. Pensiamo a un marito che parlasse di sé per ore senza mai accennare alla moglie. Pensiamo a una madre che escludesse i figli dal proprio ragionare e agire o un uomo che censurasse volontariamente parole e opinioni di fratelli o sorelle di sangue. Sentiremmo subito di essere davanti a un metallo dorato che dell'oro vero ha solo l'apparenza. Tocchiamo la verità solo quando la tocchiamo a più mani. Nessuna solitudine o isolamento potrebbe cogliere «la verità tutta intera». Il silenzio dello Spirito a favore dell'Altro, il suo scomparire quasi dietro alla testimonianza resa al Padre e al Figlio per condurre a loro più che a se stesso coincide con la sua forza di verità.
In quest'ottica potrebbe risultare più semplice la comprensione del "peso" a cui Cristo si riferisce in 16,12. È un peso che i dodici ancora non potevano portare. Servirà la mediazione dello Spirito a cui dovranno prestare un vero e proprio discepolato, ossia seguirlo, come fecero con il Figlio, per giungere alla "verità tutta intera". Il peso è precisamente la complessità delle relazioni. Sappiamo che, per semplificare una scelta o un confronto la via più spedita è proprio, a volte, l'eliminazione di una voce o di una opinione. La pluralità non è solo ricchezza: è fatica. La vita ecclesiale rivela tutto il peso delle relazioni. I contrasti, le sfide più ardue consistono proprio nell'edificare la comunione senza che divenga appiattimento e monotonia. Il testo di Atti esprime tutto questo attraverso il fenomeno delle lingue. L'unico idioma degli apostoli viene inteso da tutti. Nessuno è escluso, nessuno è perso o dimenticato. Neppure la lingua madre dei dodici è dimenticata perché quella essi utilizzano. Questa è la comunione: non perdere se stessi ma neppure perdere l'altro. La comunione, in questo senso, è l'arte della Chiesa e la sua vera testimonianza.
Non per nulla la preghiera del Figlio è che i suoi discepoli siano "uno". Davanti a questo il mondo crederà. Il "molto" che Cristo aveva ancora da comunicare non coincide forse con l'universalità di un progetto salvifico che la prima Chiesa avrebbe compreso a fatica e progressivamente? Pensiamo alla grande questione degli incirconcisi e del loro ingresso fra i discepoli di Gesù. Sarà proprio il battesimo di Spirito descritto da Luca in Atti 10 a convincere Pietro e tutta la comunità di Gerusalemme. La Chiesa non raggiunse la verità tutta intera fino a quando ritenne che i Gentili dovessero essere circoncisi per poter credere in Cristo. Se così leggiamo il testo giovanneo, non fatichiamo a sentirci ancora in cammino verso la verità tutta intera. Sempre l'altro con la sua diversità e irriducibilità provoca la nostra comprensione della fede, ci mette in movimento, ci pone in discussione. La verità di Dio è la sua unitrinità. La verità della Chiesa è la ricchezza di tutte le sue membra, attuali e future. Lo Spirito è il testimone della relazione, per eccellenza. Egli non parlerà da sé, renderà gloria al Figlio perché prenderà dal Figlio e lo annuncerà. Ma quanto è del Figlio, in realtà è del Padre. Dunque lo Spirito prenderà dal Padre e dal Figlio. Solo l'infuocata relazione d'amore tra le tre divine Persone è la verità. A questa verità conduce lo «sconosciuto al di là del Verbo», lo Spirito, come lo definì un grande teologo del secolo passato.
VITA PASTORALE N. 4/2009 (commento di Claudio Arletti,
presbitero della arcidiocesi di Modena-Nonantola)
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