Santa Famiglia
Gen 15,1-6; 21,1-3
Eb 11,8.11-12.17-19
Lc 2,22-40
OGNUNO È UNA RICCHEZZA
PER GLI ALTRI FAMILIARI
La prima lettura sta all'odierna liturgia della Parola come le fondamenta stanno all'edificio che sostengono. Non possiamo affrettarci troppo velocemente verso la pagina evangelica, senza ricordare il dramma della sterilità di tante coppie adombrato nella vicenda di Abramo e Sara. Se Dio non avesse visitato questa anziana coppia, essa non avrebbe goduto di quel sorriso (Isacco significa in ebraico: «Egli ha riso») che è riflesso della gioia del Padre.
La fatica, l'attesa, il disincanto di Abramo sono luoghi di una difficile ma preziosa elaborazione interiore. Il grande patriarca di Israele può al massimo provvedere a un suo servo che raccolga la propria eredità: Eliezer di Damasco. Ma non è padrone di darsi una discendenza. Più che mai oggi, anche nell'epoca del delirio tecnologico che pare avvicinare l'uomo all'Olimpo degli dèi, il dramma della sterilità o le lunghe attese che preludono al divenire genitori ci conducono sempre e di nuovo davanti al nostro limite: noi possediamo la vita, ma non siamo la vita. Dio è fonte di ogni paternità e maternità: quando la fecondità è presente e quando invece si rivela come il bene assente per eccellenza. Mai dobbiamo dimenticare quanto la vita sia un tesoro di cui non possiamo disporre. Solo a questo punto possiamo contemplare il suo flusso che scorre da una generazione all'altra. Il vangelo di oggi ci guida proprio a riflettere sul rapporto fra generazioni e sul valore di ognuna di esse.
Nella pagina lucana incontriamo due anziani che entrano nella vita della famiglia di Gesù, quasi ne fossero i nonni adottivi, lasciando un solco indelebile. Ma in essa troviamo anche la coppia di genitori che accudisce il Verbo Incarnato. E infine, sempre nel brano evangelico, appare l'ultima delle tre generazioni idealmente presenti, il Bambino, che entra nella casa del Padre per essere presentato al tempio. È come se in ciascuna delle tre generazioni vedessimo uno dei colori di quell'arcobaleno che è la famiglia, ognuno necessario alla bellezza di questo nucleo fondamento della società umana. Indichiamo con una parola il contributo e la specificità di ognuna di esse.
La giovane coppia, anzitutto, vive sotto il segno della fedeltà: almeno quattro volte l'evangelista sottolinea come la coppia compia la legge di Dio, vivendo una triplice fedeltà (vv. 22.23.24.39). È fedele ai comandamenti della Torah è fedele alle migliori tradizioni del suo popolo e, in questo modo, è fedele al bene del Figlio che porta, da subito, pace e consolazione a due anziani e si rivela come Messia dell'umanità. Il quotidiano è interpretato, quindi, da questa giovane coppia come luogo di fedeltà. Anche se il compito di costruire la propria vita sembri, a volte, un incominciare da capo, ogni coppia è chiamata a custodire un passato ricco di valori e intuizioni, che affonda le radici in uno stile più sobrio ed evangelico. Non dobbiamo né possiamo reinventarci da capo.
Il Bambino si manifesta invece come novità: diverse volte Luca annota nei vangeli dell'infanzia di come i genitori si meravigliassero di Gesù e di ciò che la gente diceva di lui. Gesù è continua sorpresa. È invito per i due a ripensare costantemente il loro modo di essere genitori. La vita del Bambino è qualcosa che sfugge al loro controllo o alla loro previsione. Non può essere incasellata e predefinita. La vita del Bambino è inedita vicenda da accogliere e interpretare. Mentre il passato mostra tutto il proprio valore, il futuro costituito dai figli impedisce di ripetere in modo meccanico e poco intelligente. In ogni esistenza, l'infinita creatività divina lascia trasparire qualche barlume della propria grandezza.
Sembra che solo la terza generazione presente nel brano, quella degli anziani Simeone e Anna, sappia paradossalmente penetrare fino in fondo la novità portata dal Bambino. La loro è una parola di sapienza. Essi soli sanno leggere il significato di quella giovane vita, quasi che proprio loro abbiano un accesso privilegiato al mistero che il piccolo racchiude. Simeone e Anna vedono oltre. La vita e lo Spirito sono stati per loro a lungo maestri di sapienza. E ora essi ne fanno dono a questa giovane famiglia.
Nelle parole di Simeone e Anna, il Bambino appare come il segno del compimento: Lui è tutto ciò che Simeone attende. Egli prende in braccio il bambino, benedice Dio e si abbandona alle braccia del Padre. Il Bambino, è sempre Simeone a svelarlo alla giovane coppia, sarà spada per il cuore della madre, invitata a unirsi con il proprio dolore al sacrificio d'amore del Figlio. E non è forse Anna, da ultima, a rivelare nell'infante la presenza dello Sposo d'Israele? Essa vive nel tempio e serve Dio con preghiere e digiuni dalla morte•del marito. Ora sembra riaffacciarsi alla vita e uscire dal proprio anonimato perché vede comparire il nuovo Sposo. È stupefacente vedere come, intorno al Bambino, ogni età e generazione possa diventare ricchezza per le altre e, come un affluente, confluire nel mare della storia della salvezza.
Questa pagina è uno specchio nel quale confrontare il ruolo che ciascuno riveste e può rivestire all'interno della famiglia. Di più, è un invito a donare il nostro specifico al focolare domestico, perché ognuno possa essere se stesso e possa essere ricchezza per l'altro che noi siamo. In questa prospettiva, nessuno deve vivere l'esclusione forzata dalla famiglia.
VITA PASTORALE N. 11/2008 (commento di Claudio Arletti,
presbitero della arcidiocesi di Modena-Nonantola)
torna su
torna all'indice
home