Natale del Signore (messa della notte)
Is 9,1-3.5-6
Tt 2,11-14
Lc 2,1-14
LA DIVINA CONDISCENDENZA
RIEMPIE DI GIOIA E MERAVIGLIA
Per quanto possa apparire paradossale in questa notte santa dove pare di respirare e toccare tutto il fascino e la poesia del religioso, il vangelo di Luca ripetutamente ci conduce a uno dei motivi più presenti e sgradevoli del nostro quotidiano: il fisco. Il termine richiama subito alla nostra mente sottrazione di risorse alla propria famiglia, ingiustizie, sprechi e progetti di interesse tutt'altro che pubblico: un mondo oscuro da cui vorremmo liberarci e su cui fa leva ogni pretendente al potere. Anche il quadro prospettato dall'evangelista nei primi cinque versetti del testo non è molto differente da quello che abbiamo appena evocato. Per quattro volte (vv. 1.2.3.5), in modo quasi martellante, Luca ripete che la causa dello spostamento di una giovane coppia, la cui moglie era incinta, fu il censimento universale proclamato da Cesare Augusto.
È risaputo come lo scopo di un censimento fosse essenzialmente duplice: calibrare il prelievo fiscale sul reale numero di abitanti e calcolare con esattezza di quanta forza militare potesse disporre un impero. Tra le due finalità c'è una forte connessione: per intraprendere una guerra occorrono soldati e denaro e il senso di una guerra è conquistare nuove terre e ricchezze. Il censimento era dunque un atto di marca fortemente imperialista, indice di un governo che voleva conoscere la propria forza e aumentare la propria ricchezza. La gravidanza e il parto di Maria fu una di quelle tante storie ordinarie condizionate e sconvolte dai disegni di grandezza del monarca di turno. Giuseppe dovette affrontare un lungo e disagevole viaggio. Non è necessario cadere nei consueti stereotipi della grotta fredda e inospitale con il bue e l'asinello per affermare che l'Incarnazione, l'evento sacro che celebriamo in questa notte, si consumò in un quadro di povertà e provvisorietà. Fu un evento vero. Non tanto per la perfetta corrispondenza tra le informazioni forniteci da Luca e le nostre conoscenze storiche. Fu un evento vero perché il Figlio di Dio aderì in pienezza alla nostra condizione umana, senza sconti.
Quando pensiamo a un privilegiato, a chi ha il lusso di condurre una vita diversa da quella degli altri, pensiamo proprio all'esonero da tutti quegli obblighi che limitano e condizionano la nostra libertà, oneri fiscali e sociali appunto. La prima qualifica che ebbe il Bambino nato dalla Vergine fu invece quella di nuovo contribuente per le casse dell'imperatore e futuro possibile combattente da arruolare nel suo esercito. Fatichiamo a immaginare qualcosa di più prosaico e ordinario. D'altronde noi qualifichiamo l'amore proprio in base a questa sostanziale caratteristica. Chi ama entra in situazione, senza finzioni, senza maschere. Chi ama raggiunge l'amato fino a portarne i pesi, ne conosce i dolori e le privazioni e ne sopporta le schiavitù. Gesù nacque come ebreo sottomesso al potere romano in uno di quei frangenti spiacevoli in cui la dominazione straniera faceva sentire tutto il proprio carico. Gesù è veramente divenuto uno di noi, rotellina in un vasto ingranaggio di cui pochi comandano i movimenti. Il Verbo ha fatto di sé un dono totale: essere tutto in un punto dello spazio e in un momento della storia, con le relative conseguenze. Spesso i nostri sforzi mirano a disincarnarci, a fuggire, a prendere distanze. Per Gesù, il Natale è vera immersione nella condizione dell'uomo.
Isaia descrive la nascita di un Bambino messianico usando immagini legate al tema del censimento: la vittoria militare e la conquista di un bottino: «Hai moltiplicato la gioia, hai causato grande letizia. Gioiscono al tuo cospetto, come si gioisce alla mietitura, come si esulta quando si divide la preda. Poiché il suo giogo opprimente, la verga sopra le sue spalle, il bastone del suo sorvegliante tu hai spezzato come nel giorno di Madian» (Is 9,2-3). Sono parole di vittoria che preludono a un aumento della ricchezza. Ma nella notte di Natale esse vanno capovolte nella prospettiva dell'Incarnazione. Il Figlio di Dio rinuncia al suo potere e si svuota di sé, giungendo all'impoverimento supremo. Per quanto cerchiamo traduzioni più accomodanti per la "mangiatoia" del v. 7, essa comunque descrive una zona di confine tra il mondo umano e quello animale. Anticamente, non c'era una divisione così netta fra gli spazi riservati agli uni o agli altri. Resta però il senso globale della frase, rinforzato dal suo contesto. L'umanità, costituita da povera gente manovrata da pochi assomiglia a un grande gregge che, silenzioso, obbedisce agli ordini di chi, come i re del tempo, si proclamava pastore di uomini, pastore di popoli.
Così accade che i tre titoli annunciati solennemente dall'esercito angelico ai pastori suonino sproporzionati rispetto alla realtà descritta come segno da cercare. Non v'è altro che un bambino, avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia (v. 12). Eppure l'angelo proclama i natali di un "Salvatore", "Messia" e "Signore". Se la prima parte veicola l'idea di impotenza e vulnerabilità, la seconda suggerisce tutto il contrario. Sono i pastori, esclusi dell'epoca, a giungere alla mangiatoia del Bambino. Essi che vegliano all'aperto, fuori dai consueti circuiti, accolgono il paradossale annuncio celeste e si recano a vedere il segno. L'ingresso del Figlio di Dio nella storia non poteva essere più verace. Qui riposa la credibilità dell'amore di Dio.
VITA PASTORALE N. 11/2008 (commento di Caudio Arletti, parroco di Maranello)
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