Natale del Signore (messa del giorno)
Is 52,7-10
Eb 1,1-6
Gv 1,1-18
NEL GREMBO DELLA VERGINE
IL VERBO DI CIO HA PRESO CARNE
Un uomo può vivere facendo a meno di molte cose. Non può però vivere senza percepire, almeno a tratti, il significato delle proprie azioni. Il vangelo proclamato in questo santo giorno affronta di petto questa domanda. In principio, infatti, era il significato. Così, senza forzare eccessivamente la traduzione, potremmo rendere l'incipit del Prologo giovanneo. Il termine greco tradotto con "verbo", logos, non esprime solo l'atto comunicativo con cui parliamo, ma piuttosto il pensiero che traduciamo in parole e discorso. Se esploriamo più a fondo l'etimologia del termine greco, troviamo una stretta parentela tra il sostantivo logos e il verbo greco traducibile con "raccogliere", "mettere insieme". Ogni nostra frase tiene insieme una pluralità di pensieri, intuizioni, sentimenti cui la ragione dà un senso unico e compatto. Non è uno sforzo lontano da quello che deve riempire la nostra vita e le sue molteplici occupazioni perché siano degne di essere affrontate.
Se riflettiamo anche solo un istante, cerchiamo continuamente di "mettere insieme" impegni, incontri ed esperienze, anche contrastanti tra loro, di segno magari opposto perché acquisiscano un significato unitario. E ciò che chiamiamo senso dell'esistenza. La fatica odierna nel rintracciare il senso trova qui la sua radice: non riusciamo a "tenere insieme", a raccogliere in un unico fascio la gioia e il dolore, la speranza e la disperazione, la vita e la morte. Quando due esperienze si contraddicono in modo feroce, come la morte delle persone amate e l'amore che proviamo per esse, il senso del nostro vivere vacilla. In quei momenti, non per nulla, il silenzio che sovrasta la parola è la testimonianza più efficace che non c'è alcunché di ragionevole da dire; non ci sono parole e argomenti da "raccogliere" quando la vita è sinonimo di dispersione e confusione.
Se, in questo giorno santo, associamo istintivamente il Natale alla speranza è proprio perché siamo condotti all'origine di tutto dall'inizio del quarto vangelo. Ebbene, all'origine di tutto, "in principio", non è il caos o l'assurdo. In principio è il senso, un senso increato"che è presso Dio ed è Dio (Gv 1,1-2). E il significato nel quale tutto è stato fatto. Sta come orma e traccia in tutto il cosmo e in ogni creatura. Nulla si potrebbe spiegare senza di esso(Gv 1,3). Quando vacilliamo sotto i colpi della vita, dobbiamo risalire fino al suo cominciamento e accogliere quel senso che non è nelle nostre mani, che non possiamo costruire e creare, ma piuttosto accogliere. Il significato è come la vita di un bambino: non si fabbrica, si accoglie.
Non si tratta di un mero ragionamento ma di "vita" (Gv 1,4). La vita del mondo è il volto di questo significato perché Dio ha comunicato la propria all'universo intero. In principio allora fu il dono. In principio fu la volontà di effondere vita in ogni cosa. Questa vita donata e diffusa è "luce" degli uomini. Da sempre l'uomo associa alla luce la comprensione e l'intelligenza della realtà. La nostra modernità ha preteso di assolutizzare la ragione come se potesse essere arbitra incontrastata di tutto. Non è la ragione la luce degli uomini: è la vita. Quanti pensieri falsi pretendono di dare forma all' esistenza, come se essa potesse restare inscatolata dentro alle nostre idee. Mai come oggi fioriscono idee che fanno violenza alla vita e la stravolgono. Sono idee lontane da quel principio che illumina tutto e non può essere soffocato dalla tenebra. Proprio così noi riconosciamo invece la vita vera, la vita di Dio: le tenebre non l'hanno potuta "contenere", letteralmente. Ciò che era in principio è ciò che resta per sempre. Ideologie, teorie, filosofie: tutto conosce il proprio tramonto e la propria notte. La vita divina effusa per amore scorre nel mondo e crea santità, bellezza e ciò per cui capiamo che vale la pena di vivere.
È questo senso che ha preso carne nel grembo immacolato della Vergine. Quando contempliamo la semplicità del presepe, la sua bellezza ha ancora a che fare con il principio. Colui che era all'inizio di tutto, ha voluto avere un principio anche tra noi. Il flusso della vita di Dio per sempre si è unito alla carne dell'uomo. Ora questa nostra carne ha in sé il profumo della grotta di Betlemme. La luce, per sempre, splende nelle tenebre. Siamo divenuti figli di Dio, generati non da carne né da sangue (Gv 1,12-13). Tutto ciò che in noi è vita eterna e supera la confusione e la dispersione proviene da questo flusso di vita che si è mostrato a noi nella semplicità del Natale.
Al di là di generici richiami a essere più buoni, in fondo, il valore etico del Natale non consiste in chissà quali sforzi. Non si tratta di coinvolgersi attivamente quanto piuttosto di lasciarsi raggiungere passivamente da quella vita che bussa alle nostre porte. Come un bambino non ci domanda altro che accoglienza e tutto ciò che facciamo per lui ha questo volto, così anche il mistero del Natale ci riporta alla sorgente dimenticata o rimossa, ci spinge fino all'inizio di tutto per ricevere quel significato che non è opera nostra e dà bellezza a tutto quanto esiste nel mondo. Dio ha detto la sua Parola, come ricorda l'autore della lettera agli Ebrei. Dopo molte parole e mediazioni, tutto è stato riassunto nel suo Figlio. Ma ciò che giunge come per ultimo è ciò che da sempre illumina la vita degli uomini. Se esiste un senso che illumina le nostre menti e conferisce corpo alla nostra biografia, quel senso giace addormentato fra le braccia della Vergine.
VITA PASTORALE N. 11/2008 (commento di Caudio Arletti, parroco di Maranello)
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