IV Domenica di Avvento
Rm 16,25-27
Lc 1,26-38
MARIA, INVITATA A GIOIRE,
È COLEI CHE È STATA "GRAZIATA"
La liturgia della quarta domenica d'Avvento, chiamata tradizionalmente "domenica aurea" si focalizza su colei che darà alla luce il Verbo eterno, la vera protagonista del tempo d'Avvento. Attraverso il racconto dell'Annunciazione, oggi siamo invitati a comprendere ciò che opera la Parola in noi e come dobbiamo ascoltarla.
Il primo versetto, il v. 26, offre le coordinate spazio-temporali in cui la Parola domanda di incarnarsi. Il tempo è il sesto mese di gravidanza per Elisabetta. Sta per nascere Giovanni Battista, l'uomo della promessa, l'uomo del "sei", numero dell'incompiuto se lo rapportiamo al "sette" che esprime pienezza e completezza. Il tempo in cui viene annunciata la Parola è sempre il "sesto mese", il tempo dell'incompiuto. Infatti, fino a che non ascoltiamo la Parola il tempo non si compie e la nostra vita rimane indefinita, senza l'Amante che desidera divenire l'Amato.
Il luogo della Parola è Nazaret di Galilea che nei Vangeli rappresenta la vita comune, feriale e pagana. Non è la Giudea, capitale geografica ma soprattutto teologica di Israele, terra resa santa dal tempio nel quale Zaccaria non ha creduto al messaggio angelico. C'è una terra sacra che può rivelarsi pagana quando rifiuta la Parola e c'è una terra di sincretismi, come la Galilea che diviene il luogo dell'inizio della salvezza perché una donna accoglie il seme della Parola.
I tempi e i luoghi della nostra vita si evolvono a seconda delle parole che vi mettiamo dentro. Esse, come seme, portano frutto e producono il desiderare e il progettare. Sospingono la vita su binari precisi. Sappiamo come il mondo sia retto dalla parola, anzi dalla retorica: l'arte di rendere accettabile anche ad altri ciò che interessa primariamente noi. Economia e politica, come anche il costume sono governati dalla Parola. I più gravi delitti sono, in fondo, delitti semantici: io imbroglio sulle parole, camuffando la realtà e vestendola a mio piacimento perché sia gradita anche ad altri.
La "forza di Dio" - questo è il significato di Gabriele in ebraico - è soprattutto la sua Parola. L'Onnipotente non forza né costringe. Ma chiama, interpella, supplica lasciando intatto il grande tesoro che ha consegnato ad ogni uomo: la propria libertà.
L'angelo si rivolge a una vergine di nome Maria (v. 27). Elisabetta, invece, è sterile, come tutte le matriarche dell'AT. La persona umana è sterile, perché non può produrre da sé il proprio futuro. Noi possediamo la vita, ma non siamo la vita. Noi abbiamo futuro se accogliamo Dio, vita eterna. Vergine è la persona umana che accoglie il futuro da Dio invece di cercare di fabbricarselo, rimanendo sterile. Questo separa l'irreprensibile Elisabetta dalla Vergine Maria.
La verginità allude simbolicamente anche all'attitudine per il vero ascolto. Se ci pensiamo, ogni rapporto vero nella comunicazione è un rapporto "vergine". C'è ascolto autentico quando accogliamo l'altro senza sovrapporre le nostre idee o le nostre impressioni, in maniera appunto "vergine". Così giungiamo ad avvicinarci alla sua realtà e ad accoglierla. Quando ascoltiamo davvero "concepiamo" l'altro. Ci entra nell'intelligenza e nel cuore. La vera concezione è quella dell'orecchio. Una persona esiste solo se la ascoltiamo. Colui che è ignorato è come se non esistesse.
Sempre la Parola, come l'angelo, proviene da fuori. Non posso fecondarmi da me. Il v. 28, esordio dell'annuncio, è la sintesi di tutta la proposta biblica. La prima parola è, letteralmente, "gioisci": imperativo presente. Che cosa comanderà Dio all'uomo? Che cosa vuole Dio dall'uomo? Che gioisca. La gioia è il segno della presenza di Dio in tutta la tradizione spirituale. Dio è il Dio della gioia. La paura e la tristezza non vengono da Dio, ma ci manovrano e ci inducono al peccato. Ogni altro comandamento va inteso dentro a questo primo comandamento, come via alla gioia, e ogni divieto va inteso come un divieto di fronte a ciò che corrompe e sminuisce la tua gioia. Sempre l'uomo è tentato di pensare che sia l'opposto e che Dio rappresenti il rivale geloso della sua felicità. Abbiamo per questo continuamente bisogno di riascoltare le parole rivolte alla Vergine santissima, perché non tradiamo il senso del Vangelo, "lieta notizia" e non lo comunichiamo come fosse una morale da schiavi.
La radice greca dell'imperativo "giosci" è la stessa del termine che segue, al participio passato: «Ricolmata di grazia», parola che racchiude l'essenza di Dio nel NT. La "grazia", infatti, è bellezza, gioia, bontà, gratuità, dono, amore. In fondo, essa coincide con Dio stesso.
Maria, invitata alla gioia, è colei che è stata "graziata". Il motivo della gioia è la bellezza di Dio che riluce nella creatura. Maria è "ricolmata di grazia": l'essere di questa donna coincide con l'amore che Dio ha per lei. Noi siamo l'amore che Dio nutre per ciascuno. È il nostro vero nome. Per questo possiamo rallegrarci, perché siamo degni di stima, amabili e preziosi agli occhi di Dio. La nostra identità è l'amore che Dio riversa su noi. Tutta la Bibbia ci rivela questo, per cui possiamo gioire davvero e godere di ciò che siamo. Diversamente, subentra la ricerca affannata dell'autostima, a pagamento. Siamo figli di Dio! Capire questo è la gioia dell'uomo. Ed è il desiderio dell'uomo: che cosa desidera infatti se non essere amato e perdonato? Tutta la verità di Dio e della creatura brilla allora nel volto di colei che oggi e sempre è offerta alla nostra contemplazione.
VITA PASTORALE N. 11/2008 (commento di Claudio Arletti,
presbitero della arcidiocesi di Modena-Nonantola)